Read in English

Immagine al microscopio elettronico a scansione, colorizzata, di una cellula di cancro ovarico. Credit: Steve Gschmeissner/Science Photo Library.

Un nuovo test genomico potrebbe individuare il carcinoma ovarico sieroso di alto grado (HGSOC) nelle sue fasi iniziali attraverso l'analisi del DNA prelevato nei Pap test utilizzati per lo screening del cancro al collo dell'utero.

Ogni anno, in tutto il mondo, 314.000 donne ricevono una diagnosi di tumore ovarico. L'HGSOC è il tipo più comune e ha un tasso di sopravvivenza a 5 anni inferiore al 30%. In genere viene diagnosticato tardivamente, quando è già allo stadio III o IV, ma la diagnosi precoce allo stadio I aumenta la sopravvivenza fino a circa il 90%.

Gli studi hanno dimostrato che la maggior parte dei casi di HGSOC inizia con un tumore all'estremità delle tube di Falloppio, che rilascia cellule cancerose dalle tube verso l'utero. Inoltre, le cellule HGSOC accumulano o perdono materiale genomico, un fenomeno chiamato aneuploidia. Invece di avere due copie di ciascun gene, le cellule tumorali HGSOC possono avere una sola copia (perdita di materiale genomico) o più di due copie (accumulo di materiale genomico).

Un gruppo di ricercatori guidati da Maurizio D'Incalci, che dirige il laboratorio di farmacologia antitumorale presso l'Humanitas Research Hospital di Milano, hanno sviluppato un test basato sull'analisi delle instabilità genomiche nel DNA estratto dai Pap test, che prelevano cellule dal collo dell'utero1. Il nuovo test, denominato EVA, è stato utilizzato per analizzare i risultati del Pap test provenienti da 77 donne sane e da 62 donne che hanno poi sviluppato l'HGSOC e per le quali erano disponibili campioni di tumore. I dati sono stati raccolti da otto ospedali in Italia. I Pap test delle donne che poi hanno sviluppato il tumore erano stati eseguiti fino a 9 anni prima della diagnosi.

Per le donne che hanno poi sviluppato il cancro, gli scienziati hanno sequenziato il DNA estratto dai Pap test e quello del tessuto tumorale. Hanno confermato che la perdita o l'aumento di materiale genomico era presente in diverse posizioni del genoma dei Pap test, anche in quelli effettuati anni prima della diagnosi. Hanno quindi calcolato per ogni sequenza l’alterazione complessiva del numero di copie.

"Queste instabilità interessano regioni diverse del genoma durante l'evoluzione del tumore, quindi abbiamo deciso di considerare l'instabilità complessiva, piuttosto che cercare sovrapposizioni tra le sequenze ottenute dai Pap test e quelle ottenute dai tessuti tumorali", spiega Laura Mannarino, bioinformatica di Humanitas e autrice dello studio. La coautrice Lara Paracchini, biologa molecolare di Humanitas, aggiunge che non si sono concentrati su regioni specifiche del DNA anche perché non esiste un'alterazione comune a tutte le pazienti.

I ricercatori sono riusciti a identificare due intervalli di valori di instabilità genomica: uno più alto che comprendeva la maggior parte delle donne che hanno sviluppato il cancro e uno più basso che comprendeva la maggior parte delle donne sane.

"Poiché il nostro obiettivo era sviluppare un test per lo screening, abbiamo stabilito gli intervalli in modo da ridurre al minimo il tasso di falsi positivi del test, ovvero la frazione di donne sane a cui sarebbe stato diagnosticato un cancro ovarico in fase iniziale", spiega Mannarino. Il test risulta così avere un tasso di falsi positivi del 4% e un tasso di veri positivi, cioè la frazione di donne con cancro correttamente identificate dal test, del 75%.

Ora gli autori vogliono testare la loro idea su un campione più ampio e intendono partire dalle donne con mutazioni dei geni BRCA, che hanno un rischio maggiore. Attualmente, alle donne portatrici di queste mutazioni viene proposto l'intervento di asportazione del seno e molte decidono di asportare anche le ovaie e le tube. "Il risultato del test EVA condotto sui loro Pap test potrebbe essere confrontato con le analisi patologiche sui tessuti asportati", conclude Paracchini.