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Una candidata si prepara a sostenere il test di ingresso alla facoltà di medicina all'Università Vanvitelli, al Palapartenope di Napoli, nel settembre del 2019. Credit: Ciro Fusco/EPA-EFE/Shutterstock.

Subito dopo aver conseguito la laurea triennale nel 2017, a 21 anni, Francesca Vita ha lasciato la sua città natale, Messina, per conseguire un master in biotecnologie 1.000 chilometri più a nord, all'Università di Torino.

Vita è solo una delle migliaia di studenti persi dalle università del Sud Italia negli ultimi anni, secondo l’ultimo rapporto dell'Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR). Nel 2011, più di 600.000 studenti risultavano iscritti in un ateneo meridionale, su un totale nazionale di 1,7 milioni di studenti nelle 68 università pubbliche e 31 private del Paese. Dieci anni dopo, il totale è salito a quasi 2 milioni, grazie all'aumento degli iscritti negli atenei settentrionali e in quelli online, dove sono quintuplicati arrivando oltre i 200.000 studenti. Ma la quota nelle università pubbliche meridionali è scesa di 100.000 unità, con grandi atenei come Palermo, Bari e Napoli che hanno perso tra i 9.000 e i 15.000 studenti ciascuno.

Questa disparità si aggiunge ad altre forme di divario tra nord e sud Italia, e tra il Paese nel suo complesso e gli altri Paesi industrializzati. L'Italia spende circa l'1% del PIL per l'istruzione terziaria, meno della maggior parte dei Paesi OCSE (la cui media è dell'1,45%), e ha un tasso molto basso di giovani laureati (29%) rispetto alla maggior parte dei Paesi OCSE (47%).Tra le cause del calo degli iscritti ci sono un declino demografico più pronunciato nel Sud, un minor numero di persone che proseguono gli studi dopo la scuola superiore e una maggiore fuga di cervelli verso il Nord. "La mia è stata una scelta obbligata per avere accesso a maggiori e migliori opportunità per il mio futuro", spiega per esempio Vita.

Il futuro del sistema universitario al Sud è descritto anche da un rapporto di SVIMEZ, un’associazione privata che studia l'economia del Mezzogiorno. In assenza di politiche attive di intervento, entro il 2041 potrebbe verificarsi un ulteriore calo del 27% degli iscritti al Sud, secondo SVIMEZ. L'impatto sarà maggiore per le università medio-piccole delle regioni periferiche, dove il calo demografico colpirà più duramente, mentre le università del centro-nord saranno colpite meno e in una fase successiva. "O riusciamo a compensare lo spopolamento, o per alcune università diventerà difficile restare aperte", afferma Daniele Livon, direttore dell'ANVUR.

Source: ANVUR.

Secondo l'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), la popolazione italiana è destinata a diminuire di quasi 3 milioni di unità entro il 2041, a causa di un basso tasso di fecondità (il numero medio di figli per donna) pari a 1,24. Dalla fine degli anni 2000, il tasso di fecondità nel sud è sceso al di sotto della media nazionale. Gli effetti si fanno già sentire. "Nella nostra regione abbiamo il 30% in meno di potenziali studenti rispetto a 20 anni fa, e siamo preoccupati", dice Patrizia Falabella, prorettrice alla didattica dell'Università della Basilicata. Fondata nel 1982, l’università regionale è una delle più piccole del Paese, con circa 5.800 studenti. Dal 2011 ne ha persi 2.500 e potrebbe perderne altri 2.000 entro il 2041.

Alla riduzione del bacino di potenziali studenti si aggiunge un minor tasso di passaggio all'università dei diplomati meridionali, oggi inferiore al 60%. Questa percentuale era aumentata per un po' all'inizio degli anni 2000, ma la crisi economica del 2008 ha invertito la tendenza perché "ha avuto un impatto maggiore sulle famiglie del sud", spiega Gaetano Vecchione, economista dell'Università di Napoli Federico II e coautore del rapporto SVIMEZ.

La crisi del 2008 ha anche provocato una migrazione a senso unico verso le università del centro-nord. Oggi, circa 1 studente del sud su 4 lascia la propria regione per la laurea triennale, e più di 1 su 3 lo fa dopo la laurea triennale, come ha fatto Vita. Gli studenti cercano migliori opportunità di lavoro dopo la laurea, ma anche migliori offerte didattiche e formative e servizi di diritto allo studio, spiega Alessia Polisini, rappresentante dell'associazione studentesca UDU (Unione degli Universitari). Le università del Sud tendono a ottenere risultati peggiori rispetto a quelle del Nord nelle classifiche internazionali e nella valutazione dell'ANVUR che viene utilizzata per assegnare la quota premiale dei finanziamenti statali alle università. "Poiché il budget complessivo è basso, il sistema attuale di fatto trasferisce fondi dalle università più povere e periferiche a quelle più ricche e centrali", afferma Vecchione.

Alcune università riescono ad assorbire lo shock. L'Università di Napoli, la quarta più grande d'Italia, ospita più di 73.000 studenti, un numero che si è stabilizzato negli ultimi cinque anni. "Perdiamo studenti verso il centro-nord, ma ne acquisiamo da altre università del sud", afferma il rettore Matteo Lorito. Secondo Lorito, “oltre ad aumentare il numero di studenti è ancora più importante riuscire a offrire loro più servizi e opportunità”. A San Giovanni a Teduccio, nella periferia di Napoli, l'università propone 12 programmi per studenti in collaborazione con l'industria.In altri atenei del Sud ci si affanna alla ricerca di soluzioni per attrarre e trattenere gli studenti. "Le nostre università devono creare sinergie con il mondo delle imprese e con i territori circostanti", afferma Massimo Midiri, rettore dell'Università di Palermo. Nella sede di Trapani l'università ha introdotto nuovi corsi sulla biodiversità e sull'agricoltura locale. "In questo modo abbiamo raddoppiato gli iscritti in quel polo", dice Midiri. Il rettore punta anche ad attrarre studenti da Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto, introducendo corsi in inglese e francese e sviluppando partnership con le istituzioni di riferimento.

LLe università più piccole e periferiche non sempre hanno la capacità di implementare soluzioni. L'Università della Basilicata fatica ad aumentare le collaborazioni di ricerca con le imprese locali, che sono troppo piccole o poco interessate, spiega Falabella. Per contrastare queste dinamiche, gli esperti della SVIMEZ suggeriscono di aumentare le collaborazioni tra le istituzioni. Stefano Bronzini, rettore dell'Università di Bari, ha recentemente proposto di federare tutti gli atenei della Puglia per consolidare le risorse e proporre un'offerta formativa più razionale. L'idea è stata accolta con scetticismo dalle altre università e dai politici regionali. "Tra 10 anni saremo obbligati a federarci, ma con meno risorse e meno libertà", dice Bronzini.Lo SVIMEZ propone di aggiungere un 20% in più al fondo di finanziamento delle università, per sostenere quelle che già soffrono il calo degli iscritti ed evitare i cosiddetti "deserti educativi", luoghi dove la mancanza di istruzione superiore si traduce in declino sociale e industriale. "Sono favorevole a sostenere l'eccellenza, ma non a scapito delle università più povere e piccole", afferma Vecchione.