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Stanchezza, mal di testa e dolori muscolari sono tra i sintomi più frequenti del long COVID. Credit: Catherine McQueen/ Moment/ Getty Images.

Il long COVID, una possibile conseguenza dell’infezione da COVID-19, può durare mesi o anni, colpendo vari organi e riducendo la qualità della vita.

In un nuovo studio1, Manlio De Domenico, fisico dell'Università di Padova, propone un metodo per stimare quanto sia diffuso il long COVID e quale sia l'effetto della vaccinazione su di esso. Il metodo si basa su dati disponibili pubblicamente. I risultati indicano che i vaccini avrebbero diminuito la prevalenza del long COVID tra gli adulti che hanno avuto COVID-19 di quasi il 21% negli Stati Uniti e di quasi il 16% in 158 Paesi del mondo, in media.

"Il mio obiettivo era mettere a disposizione dei funzionari della sanità pubblica uno strumento flessibile e relativamente semplice per decidere come allocare risorse per i trattamenti e l’assistenza sanitaria", spiega De Domenico, "e per monitorare come cambia la prevalenza del long COVID quando emergono nuove varianti".

Uno studio controllato condotto nel Regno Unito ha stimato una prevalenza del long COVID di circa il 10% tra le persone che hanno contratto la variante Delta, emersa nel giugno 2021, e del 5% dopo un'infezione con Omicron, comparsa nel novembre dello stesso anno. Ma questo tipo di studi controllati richiede risorse e pianificazione.

Al contrario, i monitoraggi nazionali come la Coronavirus Infection Survey nel Regno Unito o la Household Pulse Survey negli Stati Uniti producono dati pubblici e aggiornati in continuo. Tuttavia, i loro risultati non possono essere confrontati direttamente a causa delle differenze tra i gruppi di età in cui la popolazione viene suddivisa in ciascun Paese. Per superare questo ostacolo, De Domenico ha ideato una tecnica statistica che consente di far corrispondere le fasce d'età dell'indagine britannica a quelle dell'indagine statunitense, tenendo in considerazione la struttura demografica delle due popolazioni.

Lo studio ha rilevato che in entrambi i Paesi la prevalenza del long COVID tra gli adulti che hanno avuto almeno un'infezione da COVID-19 varia con l'età e che per tutte le fasce d'età la prevalenza negli Stati Uniti è maggiore di quella nel Regno Unito. Nel complesso, il long COVID colpisce attualmente circa 1 bambino su 10 di età compresa tra 0 e 12 anni e 1 persona su 5 di età compresa tra 13 e 59 anni. La prevalenza diventa almeno doppia tra i 60 e gli 89 anni.

Per stimare la prevalenza negli altri 158 Paesi, l'autore ha utilizzato i risultati di una meta-analisi pubblicata lo scorso ottobre.

“Questo approccio dovrebbe essere considerato complementare agli studi controllati, per scoprire dinamiche che possono poi essere esplorate in modo più dettagliato”, afferma De Domenico.

Lo studioso ha anche valutato l'impatto delle vaccinazioni, osservando come la prevalenza della sindrome varia tra gli stati americani con diverse coperture vaccinali. I risultati suggeriscono che in una popolazione completamente vaccinata, il long COVID è quasi il 21% meno frequente rispetto a una popolazione non vaccinata. "La stima è in buon accordo con gli studi di coorte condotti negli Stati Uniti e in Italia", spiega De Domenico.