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Immagine al microscopio elettronico a scansione dei batteri sulla superficie della lingua di un essere umano. Lo studio ha ricostruito con un livello di dettaglio mai raggiunto come il microbioma orale e intestinale viene trasmesso da persona a persona. Credit: Steve Gschmeissner/Spl/Getty.

Il microbioma, l'insieme dei microrganismi che vivono nell'intestino, nella bocca e sulla pelle, influenza la salute generale ed è legato al diabete, alle malattie cardiovascolari e al cancro. Il microbioma di ciascuno di noi riflette inizialmente quello di nostra madre, e la sua composizione muta durante l’età adulta, in parte attraverso le interazioni sociali.

Finora si sapeva poco sulle modalità di trasmissione del microbioma, ma ora un nuovo studio dimostra per la prima volta che persone che intrattengono stretti contatti sociali condividono una percentuale significativa dei ceppi batterici nell'intestino e nella bocca. Lo studio1, coordinato da Nicola Segata dell'Università di Trento, mostra che la convivenza influenza la trasmissione più dei rapporti di parentela. Ad esempio, nei gemelli la percentuale di ceppi batterici condivisi diminuisce con l'avanzare dell'età. Questi risultati si ritrovano tra popolazioni di diverse aree, con diversi stili di vita e diverse diete.

I ricercatori hanno utilizzato i dati provenienti da quasi 7.000 campioni di feci e saliva utilizzati in studi precedenti, cui hanno aggiunto quasi 3.000 campioni appositamente sequenziati, ottenendo così migliaia di metagenomi, ciascuno composto dalla somma del materiale genetico di tutti i microrganismi di un singolo individuo.

"Abbiamo incluso soggetti provenienti da comunità meno considerate negli studi sul microbioma, collaborando con centri in Africa e in Sud America per diversificare il nostro set di dati", afferma Mireia Valles-Colomer, ricercatrice post-doc del laboratorio di Segata e prima autrice dello studio.

Gli scienziati hanno stimato che in media madri e figli condividono il 34% dei ceppi batterici presenti nell'intestino, mentre i membri della stessa famiglia hanno in comune il 12% dei ceppi e quelli che vivono nello stesso villaggio solo l'8%. In media, le persone che vivono in villaggi diversi non condividono alcun ceppo batterico. Per quanto riguarda il microbioma orale, le persone che vivono insieme condividono in media il 32% dei ceppi, indipendentemente dalla parentela.

I ricercatori hanno dovuto mettere a punto nuove strategie computazionali per condurre lo studio. Per prima cosa, dovevano identificare i ceppi batterici presenti in ogni metagenoma. Una sfida notevole, poiché "ogni metagenoma contiene decine di milioni di frammenti composti da circa 100 nucleotidi ciascuno, e ogni genoma batterico ha circa un milione di nucleotidi", spiega Segata. "Capire a quale genoma appartiene ogni frammento è come trovarsi di fronte ai pezzi di diversi puzzle tutti mescolati, e cercare di capire a quale puzzle appartiene ogni pezzo".

Nel 2019 il laboratorio di Segata aveva messo a punto che permetteva di analizzare i frammenti del metagenoma e compilare un catalogo di quasi 150.000 genomi batterici raggruppati in specie2. "In questo nuovo lavoro, abbiamo ampliato il catalogo fino a un milione di genomi", spiega ora Segata.

Il secondo passo richiedeva di stabilire quando due persone condividono davvero lo stesso ceppo. Poiché i batteri accumulano mutazioni, due campioni prelevati dallo stesso individuo in tempi diversi non hanno esattamente lo stesso genoma. I ricercatori hanno costruito alberi filogenetici di ogni specie batterica, scoprendo che la distanza genetica tra una coppia di campioni, prelevati dalla stessa persona a meno di sei mesi di distanza l'uno dall'altro, è inferiore alla distanza tra due campioni provenienti da individui non imparentati. Questo ha permesso di stabilire una soglia di distanza genetica al di sotto della quale due genomi possono essere associati allo stesso ceppo.

Gli scienziati hanno confrontato i risultati ottenuti in popolazioni occidentalizzate (Europa, Stati Uniti e Shanghai) e non occidentalizzate (Argentina, comunità rurali in Cina, Colombia, Ghana, Guinea-Bissau, Tanzania), senza trovare differenze significative. "Anche se il microbioma delle popolazioni non occidentalizzate è geneticamente più ricco, il modello di trasmissione è simile", afferma Valles-Colomer.

"Si tratta di uno studio molto esteso che conferma alcune ipotesi sulla trasmissione del microbioma intestinale e aggiunge nuove conoscenze sul microbioma orale", afferma Maria Rescigno, che dirige il Laboratorio di Immunologia Mucosale e Microbiota dell'ospedale di ricerca Humanitas di Milano. "Molte delle specie altamente trasmissibili erano sconosciute prima di questo studio, e questo potrebbe informare la ricerca sull'impatto del microbioma sulle malattie non trasmissibili".