Read in English

I linfociti T hanno un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria alle infezioni e ai tumori. In questa immagine a immunofluorescenza, una cellula T (in azurro) si avvicina a una cellula bersaglio. Un gruppo di molecole segnale (in rosa) si raccoglie attorno al sito di contatto cellulare. Granuli contenenti sostanze citotossiche (rosso) viaggiano poi verso il sito di contatto e uccidono il bersaglio. Credit: Alex Ritter, Jennifer Lippincott Schwartz and Gillian Griffiths, NIH.

Un team di ricercatori italiani ha sviluppato un nuovo test per determinare il momento ottimale per la somministrazione del vaccino di richiamo contro SARS-CoV-2.

I vaccini basati sull'RNA messaggero (mRNA), come quelli contro SARS-CoV-2, stimolano diversi tipi di cellule immunitarie. Oltre ai linfociti B, che promuovono la produzione di anticorpi, stimolano anche i linfociti T CD4+ e i linfociti T CD8+, che possono uccidere le cellule infette e sono fondamentali per la protezione dalle infezioni. "La presenza di anticorpi non ci dice quanto siamo effettivamente protetti dalle infezioni e da COVID-19, perché diminuiscono nel tempo", afferma Luigia Pace, ricercatrice dell'Istituto Italiano di Medicina Genomica e dell'Istituto dei Tumori di Candiolo, vicino a Torino, autrice principale del lavoro.

Lo studio1 ha seguito per 18 mesi 379 soggetti sani, reclutati tra il personale di un ospedale della regione Piemonte. I ricercatori hanno raccolto campioni di sangue prima della prima dose di un vaccino a base di mRNA. Poi hanno prelevato altri campioni prima della seconda dose, alla settimana 3, alla settimana 6, al mese 3 e al mese 6 dopo la seconda dose e infine un mese dopo la terza dose, quella di richiamo. Hanno indagato in particolare la memoria delle cellule B e T per la proteina spike derivata dal SARS-CoV-2 originale e dalle varianti beta, delta e omicron.

I ricercatori hanno classificato i partecipanti come ‘ad alta risposta’ o ‘a bassa risposta’. Quelli con risposta più alta hanno mantenuto un livello più alto di cellule B, cellule T CD4+ e cellule T CD8+ dopo 3 mesi rispetto ai partecipanti con risposta bassa. A partire dai tre mesi, la differenza tra i due gruppi nella risposta immunologica diventava sempre più evidente. Le cellule T riconoscono molte versioni della proteina spike del SARS-CoV-2 e rispetto agli anticorpi la loro attivazione è meno influenzata dalle mutazioni delle varianti del virus. "Le persone del primo gruppo hanno una maggiore capacità di neutralizzare il virus rispetto alle persone del secondo, che quindi avranno bisogno di un richiamo prima", spiega Pace. "Questo è molto importante, soprattutto nel caso di soggetti fragili, nei quali è necessario valutare il livello di protezione preventiva, ad esempio prima di un ciclo di chemioterapia".

Il team di ricerca intende valutare la possibilità di estendere i risultati ottenuti ad altre vaccinazioni a base di mRNA, come quelle in fase di sperimentazione per alcuni tipi di cancro. "Questo ci permetterebbe di capire non solo come i pazienti rispondono alle terapie, ma anche di rendere i trattamenti oncologici più specifici per ogni singolo caso", dice Pace. Per quanto riguarda SARS-CoV-2, uno dei prossimi passi sarà quello di standardizzare i test in tutti i siti di analisi italiani per generare criteri diagnostici che possano essere utilizzati in tutte le istituzioni.

"È un ottimo lavoro che affronta un tema cruciale per la pandemia", afferma Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, non coinvolto nello studio. "Questo studio evidenzia alcune caratteristiche fondamentali delle risposte immunitarie, sia umorali che mediate da cellule. È esattamente ciò che vogliamo studiare per rendere i vaccini sempre più efficienti".