Read in English

La leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. Credit: Nicolò Campo/LightRocket/Getty.

Questo articolo è la traduzione italiana di una storia apparsa il 30 settembre sull’edizione internazionale di Nature.

Le elezioni politiche in Italia si sono concluse con una netta vittoria della coalizione di destra, portando probabilmente la leader dell'estrema destra Giorgia Meloni a diventare la prima donna presidente del consiglio di un Paese in cui le figure politiche di spicco sono state per lo più maschili. Ma i ricercatori hanno poche speranze che il nuovo governo dia impulso al sistema di ricerca italiano, che è sottofinanziato. E alcuni temono che temi come il cambiamento climatico non riceveranno l'attenzione che meritano.

"Non ho grandi speranze per il prossimo futuro", afferma Federico Ronchetti, fisico dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Frascati, che nel 2020 ha lanciato una petizione per chiedere il raddoppio degli investimenti pubblici italiani nella ricerca.

La scienza è stata poco presente nelle campagne elettorali, compresa quella della coalizione vincente. "Questo però non significa - o almeno lo spero - che questa assenza si rifletterà nell'azione del governo che verrà", afferma la senatrice a vita Elena Cattaneo, ricercatrice sulle cellule staminali all'Università di Milano.

Tuttavia, mentre la coalizione di destra si accinge a formare un nuovo governo, non è stato ancora fatto alcun nome per la guida del Ministero dell'Università e della Ricerca. Questo, secondo Cattaneo, è "un segno di mancanza di interesse" per la scienza.

Meloni e il suo team non hanno risposto alle richieste di commento di Nature.

Problemi di fondi

Con una spesa in ricerca e lo sviluppo pari a circa l'1,5% del prodotto interno lordo (PIL), l'Italia è sotto la media dei Paesi dell'Unione Europea, che è del 2,2% circa. La maggior parte dei finanziamenti alla ricerca proviene dall'industria, mentre gli investimenti pubblici rappresentano solo lo 0,5% circa del PIL italiano. Circa 14.000 ricercatori italiani hanno lasciato il Paese tra il 2008 e il 2019, una tendenza che può essere in parte spiegata dai tagli ai budget per la ricerca.

Alcuni ricercatori temono che con il nuovo governo i fondi per la ricerca pubblica possano essere ulteriormente tagliati. "I precedenti governi di destra hanno tagliato in modo significativo la spesa per la scienza", afferma Mario Pianta, economista della Scuola Normale Superiore di Firenze. Il governo di Meloni, secondo lui, dovrà affrontare ulteriori sfide: l'economia italiana è stata colpita dagli alti costi dell'energia, da un'improvvisa esplosione dell'inflazione e dall'aumento del debito pubblico. In questo contesto, secondo Pianta, "i tagli alla spesa per la ricerca sono più facili da ottenere politicamente rispetto ad altri tagli alla spesa pubblica".

Il precedente governo, guidato dal tecnico Mario Draghi, ha cercato di utilizzare parte dei fondi per la ripresa della pandemia provenienti dall'Unione Europea per contribuire a promuovere la scienza in Italia. Il piano di investimenti ha stanziato circa 11 miliardi di euro per la ricerca.

Durante la sua campagna elettorale, Meloni ha dichiarato di voler "aggiornare" quel piano, a fronte dell'aumento dei prezzi esacerbato dalla guerra in Ucraina. Ora i ricercatori temono che parte del budget per la ricerca possa essere spostato altrove, magari per garantire una fornitura stabile di energia o per favorire industrie come il turismo.

Alcuni sono anche preoccupati per l'atteggiamento di Meloni nei confronti degli scienziati. Sebbene le misure di contenimento e distanziamento sociale si siano dimostrate fondamentali per limitare la trasmissione del COVID-19 e ridurre i ricoveri, questo mese Meloni ha criticato le restrizioni introdotte in Italia.

Preoccupazioni per il clima

Prima delle elezioni, tutti i principali partiti politici italiani, compreso Fratelli d'Italia, hanno concordato di istituire un consiglio consultivo per valutare le questioni climatiche e ambientali e consigliare il nuovo governo.

Ma questi temi non sembrano essere una priorità assoluta per il partito di Meloni. In un'analisi indipendente degli impegni dei partiti in materia di clima e ambiente, Fratelli d'Italia si è classificata all'ultimo posto. Le sue promesse sulle risposte concrete alla crisi climatica erano "insufficienti", afferma Stefano Caserini, climatologo del Politecnico di Milano che ha condotto l'analisi. "La percezione della necessità di abbandonare i combustibili fossili non era chiara", aggiunge.

Il manifesto elettorale di Meloni menziona gli incentivi per l'innovazione agricola. I genetisti agrari sperano che le tecniche di genome-editing, che possono aiutare a rendere le piante resistenti alle malattie e ai cambiamenti ambientali, siano lasciate fuori dal campo di applicazione dalle leggi esistenti che ne hanno finora limitato l'uso, in Italia e, in prospettiva, in tutta Europa. Queste tecniche potrebbero rendere l'agricoltura più produttiva e sostenibile, afferma Enrico Pè, genetista vegetale della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Tuttavia, secondo Pè, i piani di Meloni non offrono proposte concrete. "Non so cosa aspettarmi", dice.

Una task force istituita dal precedente governo ha elaborato un piano per la ricerca di base che raccomandava di aumentare i finanziamenti pubblici e di modificare le modalità di assegnazione dei fondi creando un'agenzia per valutare le proposte di progetto e "operare secondo gli standard internazionali". Finora non è chiaro se il nuovo governo ristrutturerà le numerose agenzie che valutano le università e gli istituti di ricerca pubblici, ma Meloni ha promesso una strategia decennale di finanziamento della ricerca. Questo sarebbe un cambiamento gradito, perché i finanziamenti alla scienza in Italia sono irregolari e tendono a mancare di una pianificazione a lungo termine, sostiene Alberto Baccini, economista dell'Università di Siena. Ma senza un aumento dei fondi, aggiunge, "la pianificazione a lungo termine non farà molta differenza".