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Serie di scansioni a tomografia computerizzata (CT) del cervello di un paziente di 74 anni affetto da malattia di Alzheimer. Credit: ZEPHYR/ SPL/ Alamy Stock Photo.

Gli studi sulla malattia di Alzheimer (o AD) sono in aumento in tutto il mondo, e si concentrano sulla popolazione preclinica e prodromica: pazienti con sintomi solo lievi o non ancora evidenti. Servono quindi misure diagnostiche altamente accurate e validate, per evitare di arruolare negli studi farmacologici soggetti che hanno un basso rischio di progressione verso l'AD o che sono in realtà affetti da altre malattie neurodegenerative.

La comunità di ricerca inizia a riconoscere che una delle possibili ragioni dei fallimenti di molti attuali studi clinici sull'AD (in particolare sugli anticorpi monoclonali anti-amiloide potrebbe essere proprio l'inclusione di soggetti non affetti da malattia di Alzheimer, che possono rappresentare fino al 30% della popolazione target negli studi sulla fase prodromica o sulla demenza precoce1 2. Un progetto di ricerca italiano avviato di recente si propone di affrontare questo problema, e insieme di validare un modello organizzativo in grado di perseguire obiettivi di salute pubblica.

I pazienti affetti da malattia di Alzheimer sono attualmente classificati secondo il sistema ATN (amiloide, tau, neurodegenerazione)3. Questo sistema, tuttavia, non include una definizione del profilo di rischio per la progressione della malattia a livello del singolo paziente. Può anche sottostimare il contributo di alterazioni che sono comuni tra l'AD e altre malattie neurodegenerative, nonché l'invecchiamento fisiologico4, sollevando ancora una volta la questione fondamentale di una diagnosi accurata che guidi l'inclusione corretta dei pazienti negli studi farmacologici. Ricordiamo anche che l'AD e i meccanismi di neurodegenerazione ad esso correlati agiscono progressivamente per decenni, prima della comparsa dei sintomi. Inoltre, durante la fase iniziale, la riorganizzazione plastica del cervello fornisce una riserva cerebrale e può contrastare la progressiva perdita di neuroni, sinapsi e connessioni, mantenendo quindi più a lungo le funzioni cerebrali e le principali abilità cognitive.

In fase preclinica, la presenza di un declino cognitivo soggettivo rappresenta un fattore di rischio per l'AD, ma può comportare l'inclusione negli studi di soggetti i cui sintomi hanno una causa diversa (ad esempio, la depressione) e l'esclusione di individui con una scarsa consapevolezza del proprio declino cognitivo che sono a maggior rischio5 6.

Negli studi di ricerca clinica vengono utilizzati diversi biomarcatori per la diagnosi di AD e il rischio di progressione: criteri clinici e cognitivi, la deposizione nel cervello della proteina beta-amiloide e di quella tau (misurate nei fluidi cerebrospinali e mediante PET), l'atrofia cerebrale misurata mediante risonanza magnetica (RM). Tuttavia, questi biomarcatori hanno una sensibilità e una specificità limitate per l'AD, soprattutto nelle fasi iniziali, e possono portare a somministrare terapie anti-amiloide e tau a persone in realtà non affette dalla malattia.

L'aggiunta di marcatori biologici aumenta il valore predittivo, ma presenta diversi limiti. Ad esempio, i modelli di atrofia della risonanza magnetica compaiono tardivamente nelle malattie neurodegenerative, e persino l'atrofia dell'ippocampo non rappresenta un marker diagnostico differenziale accurato. La presenza di un carico di amiloide nel cervello è un marcatore dell'AD, ma si riscontra anche in altre condizioni neurodegenerative e persino nell'invecchiamento sano. Lo stesso vale per la patologia della proteina tau. Nonostante sia un fattore di rischio significativo, la positività alla beta-amiloide e alla tau non è associata a progressione clinica nella grande maggioranza dei soggetti, sia con cognizione normale che con declino cognitivo lieve1 2.

Un biomarcatore cruciale di neurodegenerazione è il metabolismo cerebrale, che riflette l'attività e la densità sinaptica, ed è incluso nella classificazione ATN. Una tecnica di neuroimmagine cerebrale chiamata [18F] FD-PET identifica una tipica alterazione del metabolismo nella regione temporo-parietale che è effettivamente un marcatore diagnostico altamente accurato per l'AD, e un risultato negativo di questo test predice fortemente la stabilità clinica. Pertanto, il metabolismo cerebrale ottenuto con [18F] FDG-PET o altre misure di neurodegenerazione, dovrebbero essere abbinate alla misura dell’amiloide, per fornire un'inclusione più accurata dei casi AD e per escludere gli individui clinicamente stabili dagli studi clinici. È indispensabile che gli studi clinici e farmacologici si attengano a criteri di inclusione che prevedano non solo l'acquisizione di valutazioni PET dell'amiloide o della tau per tutti i soggetti nella fase iniziale di reclutamento, ma anche di biomarcatori più specifici di neurodegenerazione. Ciò ridurrebbe il reclutamento inappropriato dei pazienti, che aggiunge rumore e contribuisce a risultati negativi.

INTERCEPTOR è un progetto strategico del Ministero della Salute e dell'Agenzia Italiana del Farmaco, volto a valutare i biomarcatori che meglio predicono la progressione del declino cognitivo nei soggetti affetti da decadimento cognitivo lieve. Un'ampia coorte di soggetti, reclutati attraverso una rete nazionale di centri clinici, viene sottoposta a una valutazione armonizzata dei principali biomarcatori disponibili nella pratica clinica, tra cui misure cognitive, MRI, EEG e FDG-PET, che valutano specifiche disfunzioni neuronali, sinaptiche e di rete nella fase prodromica della progressione della malattia.

La selezione di biomarcatori basati su prove scientifiche (altamente accurati, non invasivi e finanziariamente sostenibili) consente un'analisi avanzata dei dati. Il progetto è alla ricerca della combinazione di biomarcatori più efficace nel predire la progressione della malattia verso la demenza e nel contribuire alla diagnosi precoce e alla prognosi (per il rischio di progressione verso l'AD) nei soggetti con decadimento cognitivo lieve7 8. In 20 centri di reclutamento distribuiti sul territorio italiano, sono stati acquisiti biomarcatori e dati clinici da oltre 350 soggetti che sono seguiti longitudinalmente. Sono stati sviluppati e validati centri di competenza per la valutazione del rischio dei singoli biomarcatori, e una piattaforma comune basata su web. I primi risultati sono attesi per la seconda metà del 2023.