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Immagine realizzata con microscopio elettronico a trasmissione di virus dell'epatite B (in arancione). Credit: CDC/ Dr. Erskine Palmer.

Un gruppo di ricercatori ha cercato il DNA del virus dell'epatite B (HBV) in resti umani risalenti a diverse epoche, trovati in una grotta siciliana. Si tratta di Grotta dell'Uzzo, sulla costa settentrionale della Sicilia, utilizzata nel corso dei secoli come luogo di sepoltura e rifugio e luogo di ritrovamento di molti resti umani. L'HBV ha infettato l'uomo per diversi millenni, ma la sua evoluzione non è chiara. Il lavoro a Grotta dell’Uzzo fa parte di un ampio studio di un team internazionale che ha analizzato resti provenienti da tutto il mondo per ricostruire come la composizione genetica di questo patogeno sia cambiata nel corso dei secoli.

I ricercatori hanno isolato DNA virale da frammenti di ossa di un cacciatore-raccoglitore del tardo mesolitico (di circa 8.500 anni fa) e di tre agricoltori del primo, medio e tardo neolitico (datati tra 7.500 e 5.900 anni fa). L'avvento del Neolitico segna la "rivoluzione agricola", e quindi la transizione da un modello di cacciatore-raccoglitore a uno di agricoltore-allevatore. Gli scienziati hanno scoperto che il DNA più antico che hanno trovato nella Grotta dell'Uzzo appartiene ad un antico ceppo virale che era ampiamente diffuso in tutta l'Eurasia occidentale circa 10.000 anni fa. I campioni del Neolitico contengono invece ceppi più recenti, trovati anche in alcuni siti archeologici sardi, che non discendono dalla variante del Mesolitico1.

"Ipotizziamo che i cacciatori-raccoglitori, che molto probabilmente migrarono dall'Europa sud-orientale, portarono il ceppo più antico del virus in Sicilia durante il tardo Mesolitico", dice Marcello Mannino, dell’Università di Aarhus in Danimarca, coautore dello studio. "Più tardi, agricoltori provenienti probabilmente via mare dalla penisola balcanica o anche dalla Grecia hanno introdotto sia l'agricoltura sia i genotipi neolitici dell'HBV, che hanno sostituito quelli mesolitici".

Ciò che è emerso a Grotta dell'Uzzo è infatti un modello in piccola scala di quanto osservato nel campione più ampio di 137 resti da popolazioni eurasiatiche e native americane esaminati nell'intero studio, spiega Francesco Cucca, professore di Genetica medica all'Università di Sassari, che ha contribuito allo studio fornendo cinque campioni di DNA virale da resti sardi del neolitico e dell'età del bronzo.

"Il salto nel DNA durante la transizione dal Mesolitico al Neolitico riflette una sostituzione di popolazione", dice Cucca. "L'agricoltura è un'invenzione dell'Asia sud-occidentale, portata nell'Eurasia occidentale da migranti che hanno sostituito i gruppi locali di cacciatori-raccoglitori. La sostituzione della popolazione, tuttavia, non è stata completa, tanto che gli europei attuali hanno ancora una piccola parte dei genomi mesolitici e persino paleolitici”.

La maggior parte degli agenti patogeni, come SARS-CoV-2, hanno bisogno di alte densità di popolazione per diffondersi, perché causano infezioni acute ed epidemie. Ma altri sono in grado di diffondersi anche dove la densità della popolazione è bassa, come accadeva quando i nostri antenati vivevano in piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori. È il caso del virus dell'epatite B, che causa malattie croniche quasi asintomatiche e danni a lungo termine, e viene trasmesso principalmente da madre a figlio, o per via sessuale. "Queste caratteristiche hanno permesso all'HBV di seguire la nostra specie per millenni", conclude Cucca. "Ora possiamo usare il suo DNA e il nostro per tracciare la storia evolutiva di entrambi. In futuro, potremmo fare lo stesso con altri agenti patogeni".