Read in English

Credit: Ryan Mcvay/ Getty Images.

La discussione su come l’Italia possa usare al meglio le risorse del fondo UE per la ripresa è appena iniziata, e terrà banco per almeno la prima parte del 2021. Quali membri dell’associazione dei dottorandi e dei dottori di ricerca italiani, vediamo in quelle risorse un’opportunità storica per migliorare la vita e le prospettive dei ricercatori nella prima fase della loro carriera.

Lo scorso novembre Nature ha riportato i risultati di un sondaggio sulla situazione del precariato nella ricerca, basato sulle risposte di 7670 ricercatori post-dottorato di 93 paesi. Dal sondaggio emerge uno scenario caratterizzato da incertezza sulle condizioni di lavoro e da scarsa soddisfazione, specialmente tra i postdoc con maggiore esperienza.

Questi risultati sono in linea con quelli pubblicati due mesi prima dall’ADI (Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia). Avevamo intervistato 2000 postdoc, con età media di 34 anni, e che corrispondevano al 15 per cento degli assegnisti post-dottorato dell’Università italiana.

Le condizioni di lavoro precarie dei ricercatori sembrano un tratto comune a molti paesi; ma in Italia la situazione appare persino peggiore, a causa degli scarsi finanziamenti e perché la via verso una posizione stabile nel mondo della ricerca è particolarmente irta di ostacoli.

Dopo avere completato il dottorato o il primo anno di contratto post-dottorato, più del 25 per cento degli intervistati rimangono disoccupati per un anno, mentre le indennità di disoccupazione hanno una durata di sei mesi soltanto.

Durata della disoccupazione dopo il conseguimento del dottorato. Fonte: ADI.

Chi riesce a ottenere un contratto dopo avere completato gli studi di dottorato può avere una borsa di studio, un contratto di collaborazione a breve termine, o ancora un assegno di ricerca. In buona parte dei casi, gli stipendi di questi assegni di ricerca corrispondono al minino legale (circa 1400 euro al mese).

Dopo avere esaurito uno di questi contratti, per un giovane ricercatore è quasi proibitivo ottenere una posizione da ricercatore della durata di tre anni, l’unica strada possibile per arrivare a una cattedra. Queste posizioni sono pochissime: secondo i dati pubblicati, ogni anno circa 9000 candidati ottengono un dottorato in Italia, e ci sono circa 13.600 assegnisti di ricerca. La stima include solamente il personale delle università pubbliche: un conteggio completo dovrebbe includere i ricercatori impiegati negli istituti di ricerca pubblici (come il CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche – o l’INFN, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Di sicuro i post-doc sono molto più numerosi di 13.600. Questo numero è in stridente contrasto con le posizioni da ricercatore disponibili: 340 per anno per la tipologia RTD-A (ricercatore a tempo determinato) e 860 all’anno per la tipologia RTD-B (che dà accesso a una posizione permanente come professore associato).

Inoltre, in Italia non è possibile accumulare più di 12 anni di lavoro come borsista ricercatore e ricercatore non di ruolo. Chi non ottiene una posizione permanente entro questi 12 anni è espulso dal sistema accademico.

Come illustra il sondaggio di ADI, il 56,2 per cento degli oltre 13.000 assegnisti post-dottorato escono dalla carriera universitaria dopo l’assegno di ricerca, il 29 per cento dopo una posizione RTD-A, e il 5,3 per cento dopo una posizione RTD-B. Soltanto il 9,5 per cento degli assegnisti iniziali ha l’opportunità di ottenere una posizione permanente.

Inoltre, le scarse risorse finanziarie per il reclutamento sono distribuite secondo formule che aggravano il divario tra territori, tra università piccole e grandi, tra aree scientifiche, e tra campi con prevalenza di ricerca applicata, rispetto a campi con prevalenza di ricerca di base.

Queste difficoltà aumentano l’incertezza lavorativa e impediscono la pianificazione di obiettivi di ricerca su larga scala e a lungo termine. Influenzano negativamente anche la vita privata: solo il 36 per cento dei ricercatori dichiara di avere accesso a un mutuo. Inoltre, anche se il 92 per cento desidera un figlio, il 67 per cento sospende ogni progetto genitoriale.

L'attuale percorso di reclutamento nelle Università italiane, e quello contenuto nella proposta ADI.

L’ADI fa presente da anni alle istituzioni italiane questa situazione. I problemi che descriviamo possono essere affrontati solo con un duplice intervento, legislativo e finanziario. Abbiamo tradotto le nostre proposte in un disegno di legge presentato al Senato) che prevede di:

• Sostituire l’assegno di ricerca con un contratto senza tenure track di una durata massima di 1-2 anni, solo per progetti di ricerca specifici;

• Eliminare il doppio percorso RTD-A/RTD-B e sostituirlo con un singolo contratto della durata di 5 o 6 anni ripartito in un triennio da ricercatore junior (dedicato prevalentemente alla ricerca) e, dopo una valutazione positiva, in un periodo di 2 o 3 anni da ricercatore senior (avviato anche alla didattica);

• Mantenere la tenure track (attualmente riservata al RTD-B) alla fine del periodo senior;

• Introdurre una disciplina transitoria che rispetti le esigenze di stabilizzazione degli assegnisti con almeno tre anni di assegno, e dei ricercatori di tipologia A almeno al terzo anno di contratto. Ciò eviterebbe la saturazione del sistema, che bloccherebbe per lungo tempo l’accesso ai più giovani.

Quest’ultimo punto può essere garantito solo da un massiccio piano d’investimenti in ricerca e, in particolare, nel reclutamento di base. A tale proposito, le risorse del piano Next Generation EU offrono un’occasione per invertire la rotta del de-finanziamento della ricerca, e per garantire ai ricercatori la fine del precariato, l’uniformità dei diritti e la dignità del lavoro.