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Le fumarole Pisciarelli ad Agnano, nella zona dei Campi Flegrei. Credit: Salvatore Laporta/KONTROLAB/LightRocket via Getty Images.

Un terremoto di magnitudo 4,3 ha colpito i Campi Flegrei, appena a ovest di Napoli, il 27 settembre. È stata la scossa più forte registrata nella regione negli ultimi 40 anni e rientra in una sequenza sismica durata diverse settimane. Il governo ha stanziato 52 milioni di euro per la valutazione del rischio e la prevenzione.

La lunga sequenza sismica sta anche fornendo agli esperti nuovi dati sui movimenti del terreno nei Campi Flegrei, un fenomeno ricorrente chiamato bradisismo. A metà degli anni '80 ci fu un altro periodo di sollevamento del terreno e un'intensa attività sismica che alla fine si attenuò e portò a un lungo periodo di abbassamento del suolo. Nel 2003 è iniziato un nuovo sollevamento, tuttora in corso. Dal 2005 il suolo dei Campi Flegrei si è alzato di 1,15 metri. L'attività si sta intensificando da diversi mesi, superando i 1.000 terremoti al mese dallo scorso agosto.

Sono due le ipotesi proposte per spiegare il bradisismo. Secondo la prima, il sistema idrotermale, che si trova tra i tre e i quattro chilometri sotto la superficie, si riscalda a causa della risalita di magma dal serbatoio posto a circa 8 chilometri di profondità. "Possiamo pensare alle rocce della crosta come a una spugna, i cui pori vengono riempiti da fluidi idrotermali che possono espandere il loro volume", spiega Micol Todesco, vulcanologa dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Bologna. L'aumento di volume porterebbe a sua volta al sollevamento del suolo osservato.

Nella seconda ipotesi, una colonna di gas caldi risale dal magma profondo e raggiunge il sistema idrotermale, riscaldandolo. "Oggi la comunità scientifica è sostanzialmente concorde nel ritenere che l'attuale movimento sia guidato dal degassamento dei fluidi magmatici profondi", afferma Giuseppe De Natale, vulcanologo dell'INGV che ha diretto l'Osservatorio Vesuviano tra il 2013 e il 2016.

Il dato che ha portato gli scienziati a concordare, è la composizione chimica dei gas che fuoriescono dalle numerose fumarole dei Campi Flegrei. "Dal 2000 la percentuale di anidride carbonica rispetto al vapore acqueo è in costante aumento", sottolinea Roberto Moretti, geochimico dell'Università della Campania Luigi Vanvitelli. Solo il magma a grande profondità può immagazzinare in modo efficiente la CO2 e quindi emettere gas che ne sono ricchi. Inoltre, i dati sismologici suggeriscono l'esistenza di un unico serbatoio di magma a profondità maggiori.

Ciò non significa che nella caldera non si siano mai verificate intrusioni di magma più vicino alla superficie. "È molto probabile che l'improvviso sollevamento del 1982-1984, accompagnato anche da una forte sismicità che portò all'evacuazione di 40.000 persone da Pozzuoli, sia stato in realtà causato dall'intrusione di piccole quantità di magma", osserva Todesco. Ma poi quel magma si è diffuso orizzontalmente, formando una sottile lamina, e si è gradualmente raffreddato.

Il fatto che la causa dell'attuale sollevamento non sia la risalita di magma non permette di escludere la possibilità di un'eruzione. "La tensione che si sta creando nella crosta potrebbe portare alla frattura di un numero sempre maggiore di rocce, come suggerisce l'aumento della sismicità", spiega De Natale, avvertendo che se le fratture si uniscono, potrebbe seguirne un'eruzione. "Probabilmente inizierebbe con una violenta esplosione di acqua e minerali, ma potrebbe evolversi perché l'alleggerimento della pressione nel sistema idrotermale potrebbe liberare il magma immagazzinato più in profondità".

Christopher Kilburn, vulcanologo dell'University College di Londra, ha sviluppato un modello per monitorare il passaggio da un regime elastico, in cui le rocce possono piegarsi e allungarsi per adattarsi alla crescente pressione, a uno anelastico, in cui le rocce si fratturano sempre di più e inizia lo scivolamento lungo le faglie. "Il modello mette in relazione il numero di terremoti con il movimento del terreno", spiega Kilburn. All'inizio, la deformazione del suolo causerà un numero ridotto di terremoti, ma con l'accumularsi dello stress nella crosta, la stessa quantità di deformazione, causerà un'accelerazione del numero di terremoti.

Nel 2017 Kilburn, insieme a De Natale e Stefano Carlino dell'INGV, ha applicato questo modello ai Campi Flegrei dimostrando che il sistema ha continuato ad accumulare stress fin dagli anni Cinquanta. In un lavoro più recente di Kilburn e collaboratori, l'analisi è stata aggiornata per mostrare che i Campi Flegrei sono già entrati nel regime anelastico. Ma il modello non è in grado di prevedere se il movimento del terreno continuerà al ritmo attuale, o se non continuerà affatto. "Non c'è alcuna garanzia che questa volta la crisi continuerà fino alla rottura e, anche se ciò accadesse, non significa che seguirà un'eruzione", commenta Kilburn. "Potrebbe semplicemente permettere al gas accumulato di fuoriuscire più rapidamente e questo potrebbe porre fine al movimento del suolo".

De Natale non è convinto dell'ultima analisi di Kilburn. "I dati sul sollevamento del suolo possono essere interpretati in modo diverso e credo che indichino che la crosta non è ancora entrata nel regime anelastico", afferma. "Se la crosta avesse davvero superato il punto critico, l'eruzione sarebbe molto probabile e molto vicina nel tempo".

A breve termine, De Natale è più preoccupato dall'aumento della sismicità. Il 12 ottobre il Governo ha approvato un decreto che prevede un controllo della stabilità di tutti gli edifici pubblici e privati, assieme a una revisione – entro l’inizio del 2024 - del piano di evacuazione in caso di eruzione. Ma il decreto non fissa una scadenza per il monitoraggio degli edifici, che De Natale considera molto urgente.