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Un riccio tra i coralli nel mare di Sicilia. Gli ambienti marini sono uno degli ecosistemi studiati da un nuovo centro di ricerca sulla biodiversità. Credit: Giorgio Cavallaro/iStockphoto/Getty Images.

Questo è il quarto articolo sui cinque nuovi centri di ricerca nazionali creati grazie ai fondi del PNRR. I primi tre si trovano qui, qui e qui.

L'Italia è uno dei principali hotspot di biodiversità in Europa e ospita la metà delle circa 20.000 specie di piante e un terzo delle circa 100.000 specie di animali che vivono nel continente. "Nel nostro Paese ci sono piante che risalgono al Messiniano, circa 7-5 milioni di anni fa, e che quindi sono in grado di resistere alla siccità, e organismi che vivono in alta montagna e sono in grado di sopportare le alluvioni", spiega Massimo Labra, botanico dell'Università di Milano-Bicocca. "Le conoscenze e le soluzioni che possiamo ricavare dal monitoraggio, dalla conservazione, dal ripristino e dalla valorizzazione della biodiversità potrebbero essere esportate in altri Paesi dell'Europa e dell'Africa settentrionale".

Labra è uno dei principali autori del programma scientifico del nuovo National Biodiversity Future Center (NBFC) che mira a trasformare la biodiversità italiana in una risorsa scientifica ed economica. Il progetto, coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), è stato annunciato nel 2022 e ha preso il via alla fine di maggio del 2023. Con circa 320 milioni di euro provenienti dal programma di ripresa post-pandemia COVID dell'Unione Europea, l'NBFC ha finora reclutato quasi 350 postdoc e dottorandi che si uniranno a circa 1.500 ricercatori già presenti nelle istituzioni partner del progetto. Luigi Fiorentino, professore di diritto alla Sapienza di Roma, è il presidente del centro, mentre non è ancora stata assegnata la direzione scientifica.

Il centro conta 50 partner tra istituti di ricerca, università e aziende, e le sue attività sono organizzate in otto spoke coordinati da un hub centrale all'Università di Palermo. "Palermo ha un valore simbolico per la sfida che stiamo affrontando", afferma Gianluca Sarà, ecologo marino dell'università e uno dei coordinatori dei due spoke sulla biodiversità marina. "La città si trova al centro del Mediterraneo e vanta già collaborazioni con i Paesi vicini per la conservazione e il ripristino della biodiversità". Inoltre, la Sicilia ospita diversi ecosistemi altamente rappresentativi del Mediterraneo centrale.

Due spoke saranno dedicati a ciascuno dei principali ambienti studiati dal centro: marino, terrestre e d'acqua dolce; e biodiversità urbana. Alcuni spoke raccoglieranno informazioni tassonomiche, molecolari e genomiche su specie poco conosciute e valuteranno la loro risposta agli stress causati dal riscaldamento globale, dalle attività umane locali e dalla loro interazione. "Abbiamo selezionato quasi mille specie che vivono nei mari italiani in ecosistemi molto diversi tra loro, in base al ruolo ecologico che svolgono nella loro comunità e alle loro vulnerabilità", spiega Sarà.

Un secondo gruppo di spoke cercherà soluzioni per fermare la perdita di biodiversità e il declino degli ecosistemi. Per quanto riguarda la pesca, ad esempio, Sarà spiega che "mentre uno spoke prenderà in considerazione l'impatto della pesca sulla biodiversità marina, un altro studierà come la modifica della larghezza delle maglie delle reti da pesca possa ridurre quello stesso impatto".

I ricercatori del NBFC studieranno la biodiversità terrestre e d'acqua dolce in 12 grandi siti che coprono quasi il 17% del Paese. "Sono rappresentativi degli ecosistemi terrestri italiani", spiega Donatella Spano, ricercatrice che studia l'impatto dei cambiamenti climatici sulle foreste e sulle produzioni agricole presso l'Università di Sassari ed è co-leader di uno degli spoke sulla biodiversità terrestre. Particolare attenzione sarà dedicata all'interazione tra specie endemiche e aliene. "Vogliamo raccogliere prove sullo stato degli ecosistemi, sulla loro risposta agli eventi meteorologici estremi e sui servizi che possono offrire", dice Spano.

Le città saranno studiate come ecosistemi a sé stanti. "Lo studio della biodiversità urbana è un campo recente, ma esistono già solide prove del suo impatto positivo", afferma Labra. "Gli studi dimostrano che le aree verdi nelle città italiane riducono il rischio di malattie non trasmissibili, l'esposizione ai contaminanti e le isole di calore. La biodiversità è anche una risorsa per nuove molecole bioattive per alimenti, farmaci e integratori."

Il principale lascito del NBFC sarà il Science Biodiversity Gateway, un punto di accesso fisico e virtuale alle conoscenze e alle soluzioni prodotte. Avrà due sedi fisiche: una a Venezia che ospiterà mostre e l'altra a Palermo con un osservatorio sulla biodiversità mediterranea che incoraggerà nuove ricerche. La parte virtuale avrà quattro piattaforme digitali per condividere i dati raccolti dagli spoke scientifici.

"La prima piattaforma raccoglierà una versione digitale del 10% dei quasi 50 milioni di reperti conservati nelle collezioni dei musei naturali del Paese", spiega Telmo Pievani, filosofo della scienza ed evoluzionista dell'Università di Padova che guida le attività di comunicazione verso il pubblico. "Le collezioni italiane sono incredibilmente ricche, ma poche di esse sono state digitalizzate e sono quindi difficilmente accessibili ai ricercatori di tutto il mondo".

La seconda piattaforma raccoglierà dati molecolari e genomici, mentre la terza raccoglierà le proprietà chimiche di una selezione di molecole bioattive. La quarta piattaforma sarà dedicata al monitoraggio della biodiversità e al suo rapporto con le funzioni e i servizi ecosistemici, fornendo informazioni e strumenti vitali per chi pianifica le risposte ai cambiamenti ambientali.

Il gateway sarà utile per i ricercatori che vogliono testare nuove ipotesi scientifiche, per le istituzioni pubbliche che gestiscono le aree protette e per le aziende.

"Le aziende che operano nel campo dell'intelligenza artificiale, del telerilevamento, della computer vision o della robotica potrebbero adattare le loro tecnologie per migliorare il monitoraggio o facilitare interventi di ripristino ambientale", spiega Alberto Di Minin, economista della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e responsabile dell'innovazione del centro. Anche le aziende energetiche che intendono costruire parchi fotovoltaici o eolici potrebbero utilizzare questa risorsa per valutare preventivamente il loro impatto sulla biodiversità.

Circa 30 milioni di euro saranno destinati alle piccole e medie imprese italiane e alle aree protette, per finanziare progetti coerenti con gli obiettivi del Centro. Altri 27 milioni di euro saranno destinati a programmi di formazione per postdoc e dottorandi e al finanziamento di spin-off e start-up, spiega Riccardo Coratella, direttore generale del Centro.

L'altra eredità che il Centro spera di lasciare è una nuova generazione di esperti di biodiversità. "Abbiamo lanciato un dottorato di ricerca nazionale sulla biodiversità", spiega Sarà, che coordina il programma. Il primo gruppo sarà composto da circa 40 studenti.