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Una ricercatrice al lavoro al Telethon Institute for Gene Therapy (TIGET) di Milano, che sviluppa terapie geniche per malattie rare. Credit: Eric Vandeville/Gamma-Rapho via Getty Images.

Questo è il terzo articolo sui cinque nuovi centri di ricerca attivati a livello nazionale con i fondi del PNRR. Potete leggere gli altri due qui e qui.

Nell'estate del 2020, l'Italia era ancora nella morsa della prima ondata pandemica COVID-19 quando Reithera, un'azienda biotecnologica italiana, si unì alla gara per sviluppare un vaccino. Un anno dopo, i finanziamenti governativi per il progetto vennero sospesi. Più di recente, l'azienda modenese Holostem, che ha prodotto il primo farmaco a base di cellule staminali in Europa, si è trovata in crisi quando il suo maggiore azionista privato ha ritirato il proprio sostegno.

La mancanza di finanziamenti pubblici e di investimenti privati vanifica spesso gli sforzi italiani per portare terapie avanzate dal laboratorio alla clinica. Il Paese investe circa 3,3 miliardi di euro nella ricerca medica, la maggior parte dei quali è destinata alle ultime fasi della catena di approvvigionamento dei farmaci, con l'obiettivo di migliorare i prodotti, la somministrabilità dei farmaci e il confezionamento. Questo approccio, insieme alla qualità produttiva italiana nel settore, ha reso il Paese uno dei principali produttori farmaceutici in Europa, con 34 miliardi di euro di valore di produzione e 67.000 dipendenti nel settore nel 2021. Tuttavia, gli scienziati italiani vorrebbero vedere più prodotti innovativi scoperti e sperimentati nel paese.

Il Centro nazionale per lo Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA, recentemente finanziato, che raggruppa 32 istituti di ricerca, 16 aziende farmaceutiche e una delle più grandi banche italiane, potrebbe cambiare le cose. Coordinati da un hub presso l'Università di Padova, 10 "spoke" lavoreranno per scoprire e progettere nuovi farmaci nelle principali aree patologiche, o per sviluppare tecnologie e piattaforme. Il finanziamento del consorzio, pari a 320 milioni di euro, proviene in gran parte dal programma UE "Next Generation Europe" e coprirà principalmente i costi del personale per i quasi 900 scienziati permanenti e i 400 postdoc e dottorandi.

"Il nostro centro nazionale intercetta un momento storico cruciale per i sistemi sanitari nazionali che vanno verso la medicina personalizzata", afferma Rosario Rizzuto, ex rettore dell'Università di Padova e presidente della fondazione. Per le malattie rare e i trattamenti personalizzati, i pazienti sono troppo pochi per rendere redditizi i farmaci. "Queste terapie non sono necessariamente una priorità per big pharma", aggiunge Rizzuto, "ma con nuove piattaforme di trasferimento tecnologico possiamo abbassare i costi".

La terapia genica è il tipico paradigma di un approccio medico personalizzato: consiste nel modificare le cellule staminali di un paziente (con DNA, RNA o un vettore virale) e reintrodurle per combattere meglio una malattia, di solito rara ed ereditaria. Il nuovo centro ha due spoke dedicati alla terapia genica, uno sulle malattie genetiche, guidato dall'Università di Modena e Reggio Emilia, e uno sullo sviluppo preclinico, la produzione GMP e la sperimentazione clinica di cellule somatiche modificate geneticamente, guidato dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (OPBG) di Roma.

"Il centro nazionale ci permette di fare un salto di qualità potenziando le nostre strutture, il personale e le sinergie tra i gruppi di ricerca", afferma Luigi Naldini, direttore dell'Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), parte di entrambi gli spoke. L'SR-Tiget ha commercializzato due terapie geniche in grado di curare rispettivamente una rara immunodeficienza e una rara malattia neurologica. Naldini vuole continuare a ingegnerizzare le cellule staminali ematopoietiche per curare malattie metaboliche, immunodeficienze e malattie simili alla talassemia. Gli scienziati utilizzeranno anche la tecnologia CRISPR per modificare l'epigenoma, ovvero i cambiamenti chimici che influenzano l'attività dei geni.

Le tecnologie a RNA offrono un'altra via alla medicina personalizzata, in particolare per il cancro. "In un prossimo futuro, il medico potrebbe cercare proteine aberranti con una semplice biopsia e sintetizzare mRNA che esprima quelle proteine", spiega Alberto Boffi, coordinatore dell'oncologia dell'Università di Roma La Sapienza, "la reiniezione di quell'mRNA della proteina aberrante nel corpo stimolerebbe una risposta immunitaria contro la proteina stessa". Questi trattamenti si svolgerebbero in ospedale e sarebbero estremamente costosi. La sfida, dice Boffi, è ridurre i costi e trovare un modo per renderli redditizi per l'industria. Lo spoke segue circa 30 progetti, di cui 10 hanno un brevetto. Alcuni sono in fase avanzata, come un farmaco a base di microRNA sviluppato dall'Università di Catanzaro che ha superato la fase 1 della sperimentazione clinica e una terapia a base di aptameri di RNA dell'Università di Torino.

Anche le malattie neurodegenerative sono tra le priorità del centro, l'Istituto Italiano di Tecnologia con sede a Genova guida uno spoke ad esse dedicato. "La tecnologia a RNA permette di avere come bersaglio qualsiasi parte del genoma del cervello", spiega il coordinatore Stefano Gustincich. I 120 scienziati dello spoke vogliono produrre due tipi di molecole: RNA non codificanti che potrebbero essere usati come bersaglio o come terapia, e nuovi tipi di mRNA che, partendo dalle conoscenze acquisite dalla ricerca COVID-19, potrebbero portare a vaccini per le malattie di Alzheimer o Parkinson. "Ci proponiamo di avere almeno un nuovo farmaco in sperimentazione clinica entro la fine del progetto", dice Gustincich.

Poiché i nucleotidi (le unità di base del DNA e dell'RNA) sono estremamente fragili e degradabili, una delle sfide principali è quella di trasportarli con precisione all'organo bersaglio, aggirando la barriera emato-encefalica nel caso del cervello. L'Università di Napoli coordina uno spoke che sviluppa piattaforme per la somministrazione di RNA/DNA ed esplorerà vettori come nanoparticelle a base polimerica e lipidica, esosomi per colpire il cancro e microaghi polimerici biodegradabili per veicolare vaccini a base di RNA. "Presenteremo prototipi realizzati con tecnologie robuste e scalabili in grado di veicolare gli acidi nucleici verso il loro bersaglio", spiega Fabiana Quaglia, dell'Università di Napoli.

A Napoli, il centro nazionale costruirà anche un impianto GMP da 20 milioni di euro per la produzione di RNA. "È la prima struttura di questo tipo in Italia che viene finanziata con fondi pubblici e non dall'industria", spiega la coordinatrice dello spoke, Angela Zampella. Nella struttura di 5.000 m2, i farmaci a base di RNA saranno formulati, sintetizzati e testati fino alla fase 1 o addirittura alla fase 2 della sperimentazione clinica. "Un impianto GMP è fondamentale per accelerare l'ingresso in clinica dei farmaci a base di RNA", afferma Zampella, secondo cui l'impianto dovrebbe entrare in funzione nel 2025 e continuare a lavorare come struttura di servizio per le aziende farmaceutiche e per ospitare le sperimentazioni cliniche.

Sempre nell’ambito dei vettori per i nucleotidi, le aziende farmaceutiche Dompé e Chiesi contribuiranno a stabilire test adeguati per soddisfare le specifiche chiave di riproducibilità, mentre Stevanato si occuperà di nuove metodologie di liofilizzazione in siringhe e cartucce. Altri attori includono grandi aziende come Sanofi e AstraZeneca, mentre Banca Intesa "ci aiuterà a trovare nuove opportunità finanziarie per le start-up", spiega Rizzuto. Resta da vedere quanto di questo impegno rimarrà una volta che i finanziamenti pubblici saranno finiti.

Capire come continuare dopo il 2026 è la vera domanda esistenziale per il centro. "Big Pharma sta abbandonando gli investimenti in farmaci per le malattie genetiche rare perché il modello attuale non è sostenibile", afferma Naldini. Per la terapia genica, propone un modello non-profit in cui la pipeline di produzione, dalla scoperta del farmaco agli studi basati sulle GMP, rimanga all'interno di istituzioni finanziate con fondi pubblici. Per la tecnologia a RNA, Boffi propone un modello sempre basato sul finanziamento pubblico, ma in cui l'industria e i capitali privati intervengono in una fase precedente della pipeline di produzione. La natura pubblica di questi approcci consentirebbe di ridurre le regolamentazioni e gli studi preclinici, fattori che contribuiscono ai costi estremamente elevati di queste terapie.

I nuovi modelli di business richiederebbero un adeguato finanziamento pubblico per garantire farmaci a prezzi accessibili. "L'Italia deve decidere se essere compratore e consumatore di terapie avanzate o se essere tra coloro che le sviluppano e le detengono, rendendo così queste terapie accessibili ai pazienti", afferma Rizzuto.