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Questo articolo è la traduzione italiana dell'editoriale apparso il 4 aprile sull'edizione internazionale di Nature.

In tutto il mondo, gli aerei, i treni e le automobili che usiamo per spostarci hanno rilasciato circa 7,7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica nell'atmosfera nel 2021, un quinto di tutte le emissioni causate dalle attività umane. Circa tre quarti delle emissioni dei trasporti provengono da una singola fonte: gli scarichi dei veicoli stradali.

Convertire all’energia verde il trasporto su strada sarebbe un enorme passo avanti verso l’obiettivo di azzerare le emissioni entro la metà del secolo, il che a sua volta è necessario per contenere il riscaldamento globale entro livelli "sicuri". È per questo che la politica ha spinto le case automobilistiche ad accelerare gli sforzi verso la fine alla produzione di veicoli con motore a combustione interna. Sembrava una questione risolta. Nell'Unione Europea, almeno, sembrava che le due parti avessero raggiunto un accordo per ottenere quel risultato entro il 2035.

Tuttavia, nelle ultime settimane la Commissione Europea si è ritrovata coinvolta in una disputa con la Germania, l'Italia e alcuni altri membri dell'UE sulla scadenza del 2035. La questione si è alla fine risolta, ma solo dopo una concessione alla potente industria automobilistica tedesca. Le auto con motori a combustione interna potranno continuare a essere immatricolate dopo il 2035, a condizione che i motori utilizzino carburanti "a zero emissioni di carbonio" al posto di diesel, benzina, GPL o metano. Si tratta di una decisione dannosa per il clima, presa in una regione del mondo che finora è stata all’avanguardia nelle politiche di decarbonizzazione dei trasporti.

Il problema sta nell'espressione "carburanti a zero emissioni". Questi carburanti usano come input l'idrogeno "verde", che si ottiene scindendo l'acqua per mezzo di elettricità da fonti rinnovabili, o con materie prime come la biomassa. Le tecnologie utilizzate per produrre questi carburanti sono inefficienti, costose e non testate su grande scala. Inoltre, la loro 'etichetta di neutralità climatica - basata sull'idea che la CO2 emessa dalla combustione sia stata assorbita di recente dalla biosfera, o che quella emessa durante la loro produzione non raggiunga l’atmosfera - sono discutibili.

La capacità di produrre idrogeno verde è fortemente limitata e qualunque sua espansione dovrebbe essere utilizzata per alimentare settori come l'industria pesante, per i quali non sono ancora disponibili valide alternative di decarbonizzazione. Al tempo stesso, l'uso della biomassa crea incentivi per tagliare alberi e dirotta terreni agricoli verso la coltivazione a scopi energetici, senza considerare le conseguenze sul ruolo dei terreni come riserve di carbonio, o per la biodiversità.

È chiaro perché alcuni esponenti dell'industria automobilistica vogliano mantenere in vita il motore a combustione interna. L'idea risulta attraente anche per una politica miope, perché riduce la necessità di pianificare le infrastrutture di ricarica, di aumentare la capacità della rete elettrica, di formare persone con le giuste competenze per costruire e mantenere in operazione nuove tecnologie. La comunità dei ricercatori deve essere altrettanto chiara, però, nel sottolineare perché questa visione è sbagliata. C'è una sola tecnologia di comprovata fattibilità, scalabile e tecnologicamente matura per decarbonizzare il trasporto stradale personale. È l'elettrificazione.

Non tutte le case automobilistiche vogliono rimandare. Molte sono consapevoli che la transizione ai veicoli elettrici richiederà tempo, e vogliono continuare a trasformare le loro attività. Chiedono politiche certe e continuità da parte dei governi, per potersi mettere all'opera. La conferenza sul clima COP27 tenutasi lo scorso anno a Sharm El-Sheikh, in Egitto, ha visto il lancio della Accelerating to Zero Coalition per guidare la transizione globale verso nuove auto e furgoni elettrici entro il 2035 nei "mercati leader", ovvero i Paesi ad alto reddito, e a livello globale entro il 2040. Tra gli oltre 200 firmatari figurano 14 case automobilistiche, tra cui Ford, General Motors, Mercedes-Benz e Volvo Cars, e i governi di oltre 40 Paesi.

Ci sono però anche assenze notevoli, tra cui alcune delle più importanti case automobilistiche del mondo: Toyota, Volkswagen, Honda, Hyundai e Kia. Assenti anche i governi di alcuni dei maggiori Paesi produttori di automobili: Cina, Giappone, Corea del Sud e Germania.

Se la transizione ai veicoli elettrici verrà ulteriormente ritardata, è probabile che si verifichino effetti a cascata in altri settori che finiranno per frenare la decarbonizzazione globale. La domanda di mobilità personale a motore è in aumento nei Paesi a basso e medio reddito. Nella sola Asia, si prevede che nel 2050 l'automobile rappresenterà oltre il 40% degli spostamenti, rispetto al 28% del 2015. Sulla base delle tendenze attuali, nel 2050 ci saranno tre miliardi di auto e furgoni in circolazione a livello globale, rispetto al miliardo di oggi: un motivo in più per accelerare la transizione verso i veicoli elettrici in tutto il mondo.

Affinché si realizzi la decarbonizzazione del trasporto su strada, il mondo avrà bisogno di quello che la Global Fuel Economy Initiative, una partnership sul risparmio e l'efficienza dei carburanti, ha definito un "quadro politico radicale" (si veda go.nature.com/4381wvk). Significa eliminare i sussidi ai combustibili fossili e mobilitare investimenti pubblici e privati per lo sviluppo di veicoli elettrici e delle relative infrastrutture di ricarica. Significa legare lo sviluppo di queste infrastrutture a sistemi di generazione di energia rinnovabile, garantendo al contempo la sostenibilità delle catene di approvvigionamento e predisponendo sistemi per riciclare i materiali delle batterie. E significa raggiungere un accordo internazionale sugli standard, in modo che l'introduzione di veicoli più puliti in una parte del mondo non si traduca nel mandare i vecchi rottami a inquinare altrove.

Tutto questo è fattibile. Ma la crescente domanda globale di mobilità personale significa che una transizione veramente verde dei trasporti avverrà solo affrontando un altro fattore. Oltre all'innovazione tecnologica, è necessario anche un cambiamento comportamentale. Oltre a una strategia coerente e basata su dati concreti per sviluppare i veicoli elettrici e sostituire i combustibili fossili, dobbiamo pianificare e riprogettare gli ambienti urbani di tutto il mondo per incoraggiare il trasporto attivo - a piedi e in bicicletta - piuttosto che l'auto. Questa è sicuramente la strada migliore per un mondo più pulito e più sano.