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Un uomo a bordo di una piccola imbarcazione tra le auto trasportate dalle acque dell'Arno in una strada di Firenze, dopo l'alluvione del 4 Novembre 1966, quando l'onda di piena superò i 5 metri sommergendo sculture, dipinti, mosaici e manoscritti nei musei e biblioteche della città. Credit: Vittoriano Rastelli/CORBIS/Corbis Historical via Getty Images.

File di plichi cartacei avvolti nella plastica riempiono il seminterrato della Biblioteca Nazionale di Firenze. Dall'inizio degli anni 2000, i bibliotecari hanno imballato più di 60.000 giornali e altri documenti, ma non hanno ancora finito. Ogni giorno si aggiungono nuovi materiali, che ogni anno richiedono di aumentare lo spazio sugli scaffali di 1,5 km.

Come molti altri siti culturali in Italia, la Biblioteca Nazionale rischia di subire gravi danni a causa di alluvioni sempre più frequenti e intense. La biblioteca si sta preparando sigillando le opere d'archivio in uno speciale tipo di plastica impermeabile con una barriera per l’ossigeno. "In un mondo ideale, l'obiettivo sarebbe quello di avere una biblioteca non allagabile", afferma Alessandro Sidoti, conservatore della Biblioteca Nazionale. "Ma questo va oltre le nostre possibilità".

Il 4 novembre 1966, su Firenze caddero oltre 200 mm di pioggia in 24 ore. All'ingresso della biblioteca, un cartello indica il livello di 5 metri raggiunto dalle acque straripate dall'Arno. L'alluvione, che causò la morte di 35 persone e il danneggiamento di centinaia di beni culturali e di quasi un milione di pezzi dell'archivio della Biblioteca Nazionale, fu una delle più gravi perdite culturali che l'Italia abbia mai subito.

Gli scienziati avvertono che simili eventi alluvionali potrebbero ripetersi e invitano a migliorare le misure di protezione per i tesori di Firenze, così come per tutte le città italiane situate lungo i fiumi. "Potremo avere alluvioni della portata di quelle che abbiamo già visto, ma più frequenti", afferma Luca Mercalli, climatologo della Società Meteorologica Italiana, "e di tanto in tanto ne avremo alcune che supereranno tutte quelle che abbiamo conosciuto in passato".

In tutto il Paese, circa sette milioni di persone vivono in aree vulnerabili e circa il 45% dei comuni è attualmente ad alto rischio idrogeologico. Per il patrimonio culturale, gli eventi piovosi estremi sono stati identificati come uno dei rischi più critici e dannosi. L'Istituto Superiore per la Protezione dell'Ambiente (ISPRA) traccia un quadro desolante: quasi 34.000 siti (il 16,5% del totale) - tra cui il quartiere di Santa Croce a Firenze, dove si trovano la Biblioteca Nazionale e l'Opera - sono esposti a inondazioni in aree a pericolosità media.

In tutto il mondo, migliaia di città e paesi costieri sono minacciati dall'innalzamento del livello del mare, dalle inondazioni e dall'erosione del territorio. Le risposte a queste minacce vanno dal trasferimento delle opere d'arte su livelli più alti, come ha fatto il Museo del Louvre di Parigi, che nel 2021 ha trasferito 100.000 pezzi in un nuovo Centro di conservazione nel nord del Paese, alla costruzione di dighe e bacini di compensazione delle inondazioni, integrando attivamente i piani di gestione del rischio nella gestione dei siti del patrimonio culturale.

Uno dei motivi principali per cui l'alluvione di Firenze del 1966 fu così disastrosa fu la mancanza di un sistema di allerta. Organizzazioni come l'Autorità di bacino distrettuale dell'Appennino settentrionale, hanno affrontato questo problema redigendo un “Piano di riduzione del rischio idraulico per il fiume Arno”, per prevedere nuovi eventi. Le moderne simulazioni di eventi di precipitazione possono fornire previsioni probabilistiche, comprese stime sulla probabile distribuzione spaziale e sulla quantità di precipitazioni, fino a diversi giorni prima dell'evento. I meteorologi Valerio Capecchi del Laboratorio di Modellistica Ambientale e Monitoraggio per lo Sviluppo Sostenibile di Firenze (LaMMA) e Roberto Buizza del Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Termine, stimano che un'alluvione come quella del 1966 potrebbe essere prevista fino a sette giorni prima.

Si ritiene che un'alluvione di questo tipo si ripeta ogni 30-200 anni (il cosiddetto "periodo di ritorno"), ma le sue conseguenze potrebbero essere "molto più catastrofiche" oggi a causa dell'aumento della popolazione, ha riferito nel 2017 il Comitato tecnico-scientifico internazionale (ITSC) di ingegneri e scienziati nominati dal Comune di Firenze e dalla Regione Toscana. Il costo dei danni potrebbe ammontare a più di 6 miliardi di euro, escludendo le perdite del patrimonio culturale.

Un dettaglio di un manoscritto scampato all'alluvione del 1966. Credit: M. Elorza/C. Roney.

Al Centro di Documentazione sulle Alluvioni di Firenze (CEDAF), Giorgio Federici, docente di Costruzioni Idrauliche e Marittime all'Università di Firenze, sconsiglia di fare troppo affidamento sui periodi di ritorno. Le alluvioni estreme di oggi non sono solo sempre più pericolose, ma anche più difficili da prevedere in tempo reale, rendendo i piani di protezione del patrimonio più difficili da attuare, afferma Massimo Lucchesi, segretario generale dell'Autorità di distretto idrografico dell'Appennino settentrionale. Le alluvioni improvvise, ad esempio, più probabili a causa dei cambiamenti climatici, sono "estremamente difficili" da prevedere in termini di intensità e distribuzione fortemente localizzata, afferma Capecchi.

Il Ministero dell'Ambiente italiano ha investito 6,5 miliardi di euro per la riduzione del rischio idrogeologico negli ultimi due decenni, e la metà delle misure riguarda il solo rischio di alluvione, spiega Daniele Spizzichino, ingegnere di ricerca e sviluppo dell'ISPRA. Ciononostante, il rapporto dell'ITSC ha criticato le "insufficienti azioni intraprese negli ultimi 50 anni" per prevenire un altro evento simile a quello del 1966.

Il primo piano di riduzione del rischio fu formulato subito dopo l'alluvione del 1966. Chiamato “Piano Supino”, mirava alla costruzione di bacini idrici e all'innalzamento di due dighe esistenti. Tre decenni dopo fu la volta del piano di rischio idraulico dell'Autorità di Bacino del Fiume Arno, che si concentrava sulle casse di espansione - destinate a ospitare qualsiasi volume d'acqua in tracimazione - nel medio Valdarno, la valle del fiume Arno. Ma si trattava solo di progetti, dice Giorgio Federici: "Nessuna di queste azioni proposte è stata attuata". L'attuale rischio di alluvione è "sottovalutato", dice.

Nel 2007 l'Autorità di Bacino Distrettuale ha creato un catalogo dei siti culturali potenzialmente interessati, ma solo nel 2016 - 50 anni dopo la grande alluvione - ha incluso il patrimonio culturale nel suo terzo piano di valutazione del rischio di alluvione, il Piano di gestione del rischio di alluvione (PGRA). Grazie a un aumento dei finanziamenti, l'attuazione delle opere è stata accelerata a metà degli anni 2010.

Ad oggi sono stati completati una cassa di espansione e un invaso, quello di Bilancino, dei 23 bacini previsti dal Piano Supino. La vasca e l'invaso hanno una capacità complessiva di 20 milioni di m3. Nell'alluvione del 1966, il volume stimato di acqua tracimata fu di circa 70 milioni di m3.

"Recuperare il ritardo accumulato richiederà ancora molto tempo", conclude Federici. "Le opere di mitigazione realizzate finora si basano su dati passati, e potrebbero non essere sufficienti perché gli eventi futuri potrebbero avere caratteristiche inedite", aggiunge Mercalli.

"Il problema è che la gente pensa che non ci sia fretta", dice Alessandro Sidoti. "Quando si verifica il danno tutti iniziano a correre, ma non prima". E quando il disastro colpisce, dice, in tutti i siti del patrimonio culturale ci si trova ad affrontare la stessa scoraggiante domanda: "Che cosa dobbiamo salvare prima?".