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Credit: Getty Images.

La maggior parte dei modelli utilizzati nella letteratura scientifica sul cambiamento climatico, soprattutto dopo l'accordo di Parigi, si basano su una tecnica chiamata backcasting, che calcola quali traiettorie di emissioni di CO2 sono compatibili con un dato obiettivo climatico, come un aumento di 1,5 °C della temperatura globale. Uno studio su Nature Climate Change ha percorso la strada opposta, partendo dalle tendenze attuali delle emissioni e dai contributi nazionali determinati (NDC, che rappresentano gli impegni vincolanti di ogni paese per la riduzione delle emissioni). Lo studio ha combinato sette diversi modelli per calcolare come queste tendenze potrebbero evolvere oltre il 2030, e come influenzerebbero il clima. I risultati1 mostrano che è improbabile che le politiche attuali impediscano un aumento delle temperature globali ben al di sopra degli obiettivi di Parigi.

"L'approccio più comune è un po' distante dalla realtà delle politiche di mitigazione ", spiega Lorenza Campagnolo, coautrice dello studio a ricercatrice dell'Università Ca' Foscari di Venezia, dell'Istituto Europeo di Economia e Ambiente (EIEE) e del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC). "Il nostro è diverso perché tiene conto delle misure implementate e degli NDC, e si basa su di essi per creare modelli delle emissioni e dell'aumento della temperatura".

Lo studio prevede un aumento della temperatura tra i 2,2 e i 2,9 gradi entro il 2100. Nonostante una vasta gamma di traiettorie di emissioni entro il 2050, quasi tutti gli scenari dello studio mostrano un riscaldamento inferiore a 3 °C nel 2100. Tuttavia, anche lo scenario più ottimista non permette di limitare il riscaldamento globale a meno di 2 °C. Questi risultati, spiega Campagnolo, sono in linea con altri studi recenti che hanno fatto seguito ai risultati della COP26, come l'analisi di Climate Action Tracker che prevede un aumento di 2,4 gradi sulla base delle politiche attuali.

"Abbiamo cercato di includere diversi modelli e di quantificare come portano a risultati diversi" dice Campagnolo. Per esempio, alcuni modelli calcolano l'effetto della politica di mitigazione in termini di riduzione dell'intensità delle emissioni (emissioni di CO2 per unità di PIL), mentre altri si concentrano sull'aumento dei prezzi del carbonio e li usano per costruire scenari futuri. "I modelli basati sui prezzi del carbonio predicono la necessità di usare Carbon Capture and Storage come tecnologia chiave per raggiungere la decarbonizzazione", dice Elisa Delpiazzo, co-autrice dello studio e ricercatrice a Ca'Foscari, EIEE e CMCC. Applicando lo stesso prezzo del carbonio a tutti i settori e a tutti i paesi, spiega, questi modelli possono esagerare il ruolo della CCS, nonostante essa non sia ancora una tecnologia matura. "Altri modelli che usano una metrica diversa, come l'intensità delle emissioni, prevedono un maggior uso dell'elettrificazione e delle rinnovabili, anche nel settore automobilistico".

La scoperta che diversi modelli indicano diversi percorsi per la riduzione delle emissioni è un messaggio chiave dello studio. "Non c'è un solo modo per arrivare all’obiettivo", dice Delpiazzo. "È importante partire dalle traiettorie di oggi, e vedere quanto siamo lontani dall'ideale che ci siamo prefissati. "