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Credit: ViewApart/ iStock / Getty Images Plus.

In Italia e in molti altri paesi, il tracciamento digitale dei contatti tramite app per smartphone ha avuto finora un ruolo modesto nella gestione della pandemia da COVID-19. Ma merita un'altra opportunità, secondo uno studio1 pubblicato su Nature Communications da un team internazionale guidato da Bruno Lepri della Fondazione Bruno Kessler di Trento.

Gli autori dimostrano che le app di tracciamento possono essere efficaci nel contenere nuovi focolai anche in caso di bassa adozione, e senza mettere in quarantena una parte troppo grande della popolazione, a condizione che siano accompagnate dalle giuste misure di distanziamento.

I ricercatori hanno utilizzato dati derivati dal Copenhagen Networks Study (CNS), una ricostruzione su larga scala delle interazioni sociali e della prossimità in una popolazione campione, basata su dati scambiati e raccolti da smartphone. "Lo studio include diversi ambienti come un campus universitario, una scuola superiore e un complesso di uffici", spiega Lepri. "Questo ci ha permesso di stimare l'efficienza di diversi schemi di tracciamento, misurando quanti tra gli individui infettati da una singola persona vengono avvertiti dall'applicazione e messi in quarantena", continua.

Nello studio, lo schema meno restrittivo avvisa e mette in quarantena solo chi ha avuto contatti con individui infetti per più di 30 minuti a una distanza di circa 1 metro, spiega Giulia Cencetti, ricercatrice della Fondazione Kessler che ha collaborato a condurre lo studio. Quello più restrittivo mette in quarantena anche i contatti al di sotto dei 5 minuti, e a distanze superiori a 1 metro. Gli autori hanno testato anche diversi schemi intermedi, e per ciascuno hanno stimato l'efficienza e il tasso di falsi positivi (notifiche pervenute a persone che non risultano poi positive) e di falsi negativi (persone infette che non ricevono notifiche).

I ricercatori hanno quindi inserito le stime di efficienza di tracciamento in una simulazione matematica dell'epidemia. Per un tasso di adozione del 20%, hanno scoperto che il tracciamento digitale porta a una diminuzione dei nuovi casi giornalieri anche con lo schema meno restrittivo, a condizione che la notifica traduca in un isolamento efficace e che mascherine e misure di distanziamento mantengano il numero di riproduzione (il numero medio di persone infettate da ogni caso positivo) a 1,2. Se il tasso di adozione arriva al 40%, diventa possibile allentare il distanziamento (consentendo un numero di riproduzione di 1,5) ma è necessaria una politica di tracciamento più rigorosa, che porti a mettere in quarantena fino al 5% della popolazione.

Il ruolo potenziale del tracciamento digitale è stato evidenziato sin dai primi giorni della pandemia. Nel maggio 2020, scienziati dell'Università di Oxford hanno dimostrato2 che qualsiasi strategia di tracciamento dei contatti è inefficace se le notifiche ritardano più di tre giorni, poiché le persone infette da SARS-CoV-possono trasmettere il virus diversi giorni prima di sviluppare i sintomi. Il tracciamento manuale dei contatti soffre di tali ritardi, mentre quello digitale può avvisare le persone a rischio quasi istantaneamente.

In Italia, l'applicazione Immuni è stata scaricata quasi 10 milioni di volte ma ha inviato solo 94.000 notifiche, e l'app francese TousAntiCovid ha numeri simili, con 14 milioni di download ma solo 199.000 notifiche inviate. Il Regno Unito ha fatto meglio con quasi 22 milioni di download e oltre 1.880.000 avvisi di rischio.

"Fino ad ora l'impatto del tracciamento digitale non è stato quantificato", afferma Luca Ferretti, ricercatore presso l'Oxford Big Data Institute e coautore dello studio di Oxford, che non è stato coinvolto in questa ricerca. "Il lavoro di Lepri e coautori colma questa lacuna e offre un'analisi costi-benefici".