Le reazioni avverse ai farmaci sono una delle principali cause di morte e malattia in tutto il mondo. Colpiscono il 40% dei pazienti sottoposti a trattamento farmacologico e rappresentano il 15% della spesa ospedaliera nei Paesi OCSE.
Diversi fattori determinano la suscettibilità individuale alle reazioni avverse, compresi alcuni geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci. Associazioni specifiche gene-farmaco che possono aumentare il rischio di reazioni avverse sono state documentate per oltre 100 farmaci, tra cui analgesici, antitumorali, anticoagulanti, antidepressivi, antiepilettici, antipertensivi, antipsicotici e altri ancora.
Un gruppo di ricercatori di sette Paesi europei ha progettato uno studio1 per valutare l'utilità di test preventivi per un intero pannello di varianti genetiche attualmente associate a 39 farmaci, in modo da prescrivere il farmaco giusto al paziente giusto nella dose giusta. Lo studio ha coinvolto quasi 7.000 pazienti in cura per diverse patologie. La metà di loro è stata sottoposta a test per 50 varianti note in 12 geni. Quando emergeva una variante associata a una reazione avversa, il loro piano terapeutico veniva modificato di conseguenza. L'altra metà del gruppo non ha ricevuto alcun test genetico e si è attenuta ai farmaci inizialmente consigliati. Il risultato è stato una riduzione del 30% della frequenza delle reazioni avverse per il gruppo sottoposto al test. "È molto più efficiente che testare un paziente per un singolo gene quando viene prescritto un farmaco specifico", afferma Henk-Jan Guchelaar, professore di Farmacia Clinica presso il Leiden University Medical Center e coordinatore dello studio pubblicato su The Lancet.
L'Istituto Nazionale dei Tumori di Aviano, nel nord-est dell'Italia, ha condotto la parte oncologica dello studio, arruolando più di 1.200 pazienti italiani. "Per le terapie antitumorali, abbiamo dimostrato che questa strategia previene gravi effetti tossici che richiedono l'ospedalizzazione e persino reazioni fatali", afferma Giuseppe Toffoli, direttore dell'Unità di Farmacologia Sperimentale e Clinica dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Aviano e autore senior dello studio.
Il progetto ha portato anche alla definizione di linee guida cliniche europee, di una piattaforma di genotipizzazione, di nuovi strumenti per l'archiviazione dei dati degli individui, come una smartcard con un codice QR, e di materiale didattico per medici, farmacisti e pazienti. "Ci auguriamo che le società cliniche, le autorità di regolamentazione e le compagnie di assicurazione sanitaria riconoscano i risultati dello studio e li implementino nella pratica clinica", afferma Guchelaar.
In Italia, i test su singole coppie gene-farmaco sono entrati recentemente nella pratica clinica, soprattutto in ambito oncologico. "I test per le fluoropirimidine e l'irinotecan sono i più utilizzati", afferma Cristina Montrasio, coordinatrice del Laboratorio di Farmacogenetica dell'ASST Ospedale Universitario Fatebenefratelli Sacco di Milano. "Inoltre, c'è una crescente richiesta di test farmacogenetici per antidepressivi, antipsicotici e antiepilettici, ma sono disponibili solo in pochi laboratori".
Secondo Emilio Clementi, direttore dell'Unità di Farmacologia Clinica dell'ASST Ospedale Universitario Fatebenefratelli e membro della Società Italiana di Farmacologia (SIF), ostacoli burocratici e culturali limitano ancora l'uso di questi test. "Non è ancora chiaro chi debba prescrivere i test, quali laboratori siano autorizzati a eseguirli e chi debba validarli", afferma. "I medici non sono ancora preparati a interpretare i risultati e a tradurli nella pratica clinica".