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Cerimonia di laurea per gli studenti di medicina e psicologia alla Sapienza Università di Roma, durante il lockdown. Credit: Riccardo De Luca/AGF/Universal Images Group via Getty Images.

Nota redazionale: il 6 marzo 2023 in calce all'articolo è stata aggiunta una correzione su richiesta degli autori.

Ogni anno, la pubblicazione delle classifiche accademiche viene riportata con toni funerei dai media italiani a causa delle scarse prestazioni delle nostre università. Quest'anno non ha fatto eccezione.

La più grande università italiana, la Sapienza Università di Roma, dove lavora il premio Nobel per la fisica 2021 Giorgio Parisi, si è classificata al 171esimo posto secondo la classifica QS, appena sotto la Texas A&M (164esima). Nella classifica del Times Higher Education (THE), Sapienza si trovava nel gruppo 201-250 insieme alla University of Southern Florida. La posizione era leggermente più alta (101-150) secondo l'Academic Ranking of World Universities (ARWU), dove Sapienza era classificata alla pari con l'Università dello Utah. Ad altre grandi università italiane è andata peggio: l'Università degli Studi di Milano è stata classificata al 324esimo posto da QS, al di sotto della North Carolina State University, nel gruppo 301-350 secondo la classifica THE, insieme alla University of California Merced, e nel gruppo 151-200 secondo ARWU, insieme alla Texas A&M. Scendendo verso sud, l'Università di Napoli - Federico II è classificata 416esima da QS, nel gruppo 351-400 da THE e nel gruppo 201-300 da ARWU. Anche una scuola altamente selettiva e prestigiosa come la Scuola Normale Superiore di Pisa non è entrata nella top 1000 delle università selezionate da QS, è 183esima secondo THE e nel gruppo 550-600 per ARWU, insieme alla University of Alaska Fairbanks.

Riteniamo che la qualità della formazione offerta dalle istituzioni accademiche italiane non sia rispecchiata da queste classifiche. Abbiamo però bisogno di una valutazione quantitativa che confermi la nostra percezione qualitativa. Nature ha recentemente pubblicato un interessante studio statistico sulla struttura e la dinamica delle assunzioni di docenti nelle università statunitensi1. L'analisi è basata su un ampio set di dati che comprende informazioni sulla formazione dottorale dei docenti tenure-track assunti da tutte le università statunitensi che concedono dottorati negli anni 2011-2020. Gli autori sono riusciti a identificare una piccola cerchia di università prestigiose che formano la grande maggioranza dei docenti in diversi campi accademici. Queste università d'élite si scambiano docenti tra di loro con un alto tasso di auto-assunzione (cioè titolari di dottorato che vengono assunti come docenti dalla stessa istituzione che li ha formati). Forniscono anche docenti a istituzioni meno prestigiose, ma raramente ne importano da esse. Sebbene l'analisi fosse incentrata sul sistema accademico statunitense, i dati primari includevano anche informazioni dettagliate sui docenti formati al di fuori degli Stati Uniti. Abbiamo deciso di concentrarci sui docenti assunti negli Stati Uniti, ma formati dalle università italiane.

Abbiamo scoperto che quasi 3.000 docenti assunti negli Stati Uniti nell'arco di tempo considerato hanno conseguito il dottorato in Italia. Questo numero è sorprendente, soprattutto se confrontato con i 7.384 ricercatori tenure-track assunti in Italia nello stesso periodo. La situazione dei ricercatori in Italia è sempre stata piuttosto complessa, con periodi di reclutamento seguiti da anni senza posti vacanti. I posti di ricercatore tenure-track sono stati istituiti nel 2010, ma sono entrati effettivamente in vigore solo nel 2013. Prima di questa data, l'Italia offriva poche opportunità ai giovani ricercatori. Dopo l'introduzione delle posizioni tenure-track, il numero di nuove posizioni per i ricercatori è cresciuto e ora si aggira intorno alle 1.000 unità all'anno. Si tratta di un numero esiguo se confrontato con i circa 10.000 dottori di ricerca che si laureano ogni anno, considerando anche l'arretrato dovuto dal blocco delle assunzioni. Questo spiega perché molti dottori di ricerca italiani cercano opportunità all'estero.

Abbiamo quindi deciso di studiare i dati in modo più dettagliato. In primo luogo, abbiamo analizzato i settori scientifici che erano sovrarappresentati e sottorappresentati tra gli assunti con dottorato ottenuto in Italia , rispetto a quanto ci saremmo aspettati in base alla quota complessiva di dottori di ricerca italiani assunti dalle università statunitensi. Come mostrato nella Fig. 1a, le materie STEM come la fisica, la biologia e l'ingegneria sono generalmente sovrarappresentate, mentre le materie umanistiche come la storia e la sociologia, ad eccezione degli studi classici, sono generalmente sottorappresentate. Abbiamo poi esaminato le università italiane in cui si sono formati questi docenti assunti negli Stati Uniti (Fig. 1b). La Sapienza si classifica al primo posto con più di 400 docenti, seguita dall'Università di Milano con più di 300. L'Università di Napoli ha fornito 143 docenti alle università statunitensi e la Scuola Normale Superiore 115. L'elenco delle università statunitensi che hanno assunto docenti italiani formati è guidato da università prestigiose come la Columbia University, la Weill Cornell e la Harvard University (Fig. 1c).

Per esaminare in modo più quantitativo la posizione delle università che assumono docenti formati in Italia, abbiamo considerato il punteggio di "prestigio" assegnato a ciascun dipartimento universitario statunitense dallo studio di Nature. Abbiamo scoperto che il 35% dei docenti formati nelle università italiane è stato assunto da dipartimenti statunitensi appartenenti al primo25% in termini di prestigio. Questa percentuale è del 35% per la Sapienza, del 32% per l'Università di Milano, del 36% per l'Università di Napoli e del 54% per i laureati della Scuola Normale Superiore. È interessante confrontare questi valori con quelli ottenuti per le università statunitensi classificate allo stesso livello dai principali ranking accademici: è l'11% per la Texas A&M, il 15% per la University of Utah e la North Carolina State University, il 7% per la University of Southern Florida e l'8% per la University of Alaska.

Perché allora le università italiane hanno posizioni così basse nelle classifiche? Se da un lato i loro indicatori di produzione scientifica sono spesso buoni, due fattori critici le fanno finire in fondo alla classifica: la reputazione e l'internazionalizzazione. La reputazione è una questione soggettiva che riflette la percezione comune del prestigio, rafforzata dalle classifiche stesse. Inoltre, le università italiane tradizionalmente attraggono pochi studenti internazionali. A nostro avviso, ciò non è dovuto al fatto che l'istruzione viene giudicata di scarsa qualità, ma piuttosto al fatto che viene offerta principalmente in italiano. Il sistema accademico italiano è per lo più finanziato dallo stato con l'obiettivo di fornire ai cittadini un'istruzione superiore a costi accessibili. Attirare gli studenti internazionali offrendo servizi extracurriculari attraenti e costosi non è mai stato un obiettivo. Riteniamo che sia importante valutare le università utilizzando un ventaglio di criteri. Paesi diversi potrebbero avere obiettivi diversi per il loro sistema educativo, legati alle loro esigenze socio-economiche e culturali. Classificare tutte le università insieme e confrontare i Paesi come se l'istruzione fosse una gara è fuorviante e inutile.

Non vogliamo suggerire che non ci sia nulla da migliorare nel sistema accademico italiano, le cui carenze sono ampiamente note. L'Italia ha problemi strutturali legati alla mancanza di opportunità per i giovani ricercatori e al fatto che i finanziamenti per la ricerca e gli stipendi dei docenti sono relativamente bassi rispetto ad altri Paesi. L'Italia non sembra in grado di capitalizzare il grande potenziale costituito dalle persone che forma. I dati dicono però che la qualità della formazione e della ricerca in molte materie, soprattutto quelle STEM, rimane alta. Dovremmo continuare a puntare sul mantenimento della qualità, e magari imparare un'abilità in cui le istituzioni accademiche statunitensi eccellono: l'autopromozione.

CORREZIONE: 6 MARZO 2023

Dopo la pubblicazione dell'articolo, ci siamo resi conto che il database che abbiamo utilizzato per la nostra analisi contiene ripetizioni sistematiche degli stessi dati, poiché ogni docente assunto è elencato separatamente per ogni disciplina, gruppo di discipline e per l'intera accademia. Inoltre, anche i singoli docenti con più incarichi in campi diversi sono elencati più volte. Per questo motivo, il nostro conteggio del numero totale di titolari di dottorato italiani assunti negli USA non era corretto. Eliminate le ripetizioni, il numero totale di italiani è risultato pari a 869 invece di 2804. Conseguentemente va corretto anche il numero di docenti assunti per ateneo. Le proporzioni relative sono rimaste, invece, invariate poiché le ripetizioni interessano l'intero database. Pertanto le argomentazioni sui campi di attività dei docenti assunti e sul prestigio delle istituzioni che assumono rimangono corrette. Sebbene il numero dei docenti formati in italia sia inferiore a quanto riportato erroneamente nell'articolo, il loro numero assoluto rimane comunque significativo, per cui le nostre conclusioni generali non cambiano. Riportiamo di seguito una nuova figura con i numeri corretti e ci scusiamo con i lettori per l'errore.