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I leader della coalizione che ha vinto le elezioni politiche, durante il comizio di chiusura della campagna elettorale a Roma, il 22 settembre. Matteo Salvini (Lega), Silvio Berlusconi (Forza Italia), Giorgia Meloni (Fratelli d'Italia) e Maurizio Lupi (Noi con l'Italia). Credit: Riccardo Fabi/NurPhoto via Getty Images.

Comunque abbiano votato il 25 settembre, la maggior parte degli italiani possono essere d'accordo sul fatto che il prossimo governo dovrà affrontare un mandato da far tremare i polsi.

La legislatura numero 19 e il governo numero 68 della Repubblica iniziano durante una delle peggiori crisi economiche, sociali e ambientali degli ultimi decenni. La guerra in Ucraina ha portato alle stelle i prezzi di gas ed elettricità, minacciando la sopravvivenza delle industrie e il benessere di milioni di persone. Questo shock ha colpito quando l'economia italiana stava appena iniziando a riprendersi dall'impatto della pandemia COVID-19, prima della quale l'Italia era stata indebolita da decenni di crescita stagnante che nessun governo è riuscito a invertire.

Nei primi mesi, il nuovo governo dovrà concentrarsi sulla risposta all'emergenza. Mantenere a galla l'economia, preservare i posti di lavoro e assicurarsi che le persone più vulnerabili superino il prossimo inverno saranno i suoi primi imperativi.

Ma se l'Italia non vuole limitarsi a passare da una crisi all'altra, deve avere una visione chiara del ruolo dell'istruzione superiore, della ricerca e dell'innovazione.

Questi temi hanno ricevuto poca attenzione durante la campagna elettorale ed erano citati solo di sfuggita nei programmi di molti partiti. Prima delle elezioni, abbiamo cercato di capire di più ponendo loro alcune domande su ricerca, salute, università e clima. Alcune risposte sono state dettagliate e informate, altre meno. Alcune proposte sarebbero ben accolte dalla maggior parte degli scienziati, altre li farebbero preoccupare. Ma poiché il peggioramento dell'economia potrebbe costringere i partiti a riconsiderare le loro promesse elettorali, e poiché non abbiamo ricevuto alcuna risposta dal partito vincitore e da uno dei principali partner di coalizione, è troppo presto per dire quali saranno effettivamente le politiche su questi temi. Ma non è troppo presto per ricordare quali non dovrebbero essere.

Al momento del lancio di Nature Italy, scrivevamo che il piano di rilancio lanciato dall'Unione Europea in risposta alla pandemia stava creando "un'occasione - forse l'ultima - per il Paese di reinventarsi, e di prendere atto finalmente all'importanza della scienza e dell'innovazione per la crescita e per il benessere dei suoi cittadini".

Due anni dopo, l'opportunità c’è ancora, ma c’è anche il rischio di sprecarla. L'Italia rimane molto indietro rispetto alla media UE e OECD per quanto riguarda i finanziamenti alla ricerca e l'accesso all'istruzione superiore. Il precedente governo ha utilizzato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per cercare di invertire la tendenza. Sono state lanciate nuove iniziative, tra cui centri nazionali e partenariati tra università e istituti di ricerca, grant individuali sul modello di quelli dell’ ERC, programmi di dottorato. L’accoglienza della comunità scientifica è stata contrastante. Sebbene ogni aumento dei finanziamenti sia benvenuto, molti speravano in una maggiore attenzione alla ricerca di base, in una competizione più trasparente tra le diverse proposte e in maggiori opportunità per i giovani ricercatori. E molti ora temono che il PNRR possa rivelarsi un'occasione mancata, distribuendo risorse senza ottenere un chiaro impatto sulla competitività.

È fondamentale che il lavoro sul PNRR continui e migliori nella prossima legislatura e che qualsiasi aggiustamento di bilancio reso necessario dalla crisi economica non sottragga risorse all'istruzione, alla ricerca e alla sanità, come troppo spesso è accaduto in passato. Il prossimo governo dovrà assicurarsi che i fondi per la ricerca siano spesi bene e che le scadenze siano rispettate, impegnandosi in un processo di revisione trasparente e discutendo con i giovani e produttivi ricercatori su come sfruttare al meglio questa opportunità. Soprattutto, dovrà elaborare un piano chiaro su cosa fare dopo il 2026, quando i fondi europei cesseranno. Questi investimenti sono sempre stati concepiti come un trampolino di lancio verso il futuro, non come una manna una tantum. Su questo, il nuovo governo non deve partire da zero, ma può contare sulle proposte di nuovi investimenti e riforme preparate da un gruppo di esperti creato dal ministro della Ricerca uscente.

Il nuovo governo erediterà importanti riforme avviate da quelli precedenti, come la riforma del Consiglio Nazionale delle Ricerche o delle carriere universitarie. Quest'ultima ha margini di miglioramento, in quanto attualmente presta più attenzione all'aspetto didattico delle carriere universitarie che a quello della ricerca. Per queste e per le future riforme, la politica dovrebbe mantenere un dialogo aperto con la comunità scientifica, che a volte si è sentita esclusa dal processo decisionale durante la prima fase del PNRR.

Una delle sfide fondamentali per i prossimi cinque anni sarà quella di pianificare il futuro del sistema energetico italiano. Il Paese ha un enorme potenziale di sfruttamento delle fonti rinnovabili, ma il tasso di installazione di energia eolica e solare è stato deludente rispetto ad altri paesi europei, e negli ultimi anni ha rallentato. Il prossimo governo non dovrebbe usare la crisi energetica come scusa per perdere di vista gli obiettivi di riduzione delle emissioni e dovrebbe spingere verso l'elettrificazione e l'installazione di nuova capacità rinnovabile. Allo stesso tempo, il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, redatto nel 2018 e poi lasciato in sospeso, deve essere aggiornato e approvato.

Poi c'è la sanità. La pandemia ha messo in evidenza i danni che decenni di tagli al bilancio hanno causato al sistema sanitario pubblico italiano, nonché le falle nell'organizzazione regionale che devono essere corrette. Il PNRR prevede 20 miliardi di euro per il rafforzamento dell'assistenza sanitaria territoriale, la creazione di un'infrastruttura all'avanguardia per la raccolta e l'analisi dei dati sulla salute pubblica, il potenziamento della ricerca biomedica all'interno del sistema sanitario pubblico - su malattie rare trascurate dalla ricerca privata. Gran parte di questa somma deve ancora essere spesa e sarà responsabilità del prossimo governo utilizzarla per ridurre le disuguaglianze regionali e sociali nell'accesso a un'assistenza sanitaria di qualità. Non si può escludere una recrudescenza del COVID-19 durante l'inverno. Se ci sarà, dovrà essere affrontata a partire dalle prove che dimostrano che i vaccini sono la migliore linea di difesa.

Il prossimo governo dovrebbe anche prendere decisioni rimandate per troppo tempo e che creano incertezze per molti ricercatori italiani. Un esempio è il divieto selettivo di sperimentazione animale per le sostanze d'abuso e gli xenotrapianti, più volte scongiurato all'ultimo minuto e che ora potrebbe entrare in vigore nel 2025. Un altro è lo status giuridico delle nuove tecniche genomiche in agricoltura, su cui l'Italia ha diversi progetti di ricerca promettenti che nella maggior parte dei casi si fermano prima di essere testati sul campo a causa di normative ostili.

Promettere maggiori investimenti in ricerca e politiche basate sulla scienza non porta voti in campagna elettorale, ma ora le elezioni sono passate e un governo che abbia a cuore l'Italia deve rendersi conto che la crisi attuale è il risultato di molte scelte sbagliate degli ultimi decenni, che hanno reso l'Italia più vulnerabile in un mondo sempre più instabile e insicuro. Trascurare gli investimenti nella scienza, nell'istruzione e nella sanità è stata tra queste scelte sbagliate, ribadita da molti governi passati. Farlo di nuovo non aiuterebbe questa crisi e non farebbe che peggiorare le prossime.