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All'inizio della pandemia di COVID-19, l'antivirale idrossiclorochina è stato ampiamente utilizzato off-label, da solo o con altri farmaci, prima che diversi studi clinici dimostrassero la sua inefficacia. Il risultato è stato un aumento della gravità e dell'incidenza delle reazioni avverse causate dal farmaco, dice uno studio su The Journal of Clinical Pharmacology di ricercatori delle università di Siena e Trento e dell'agenzia sanitaria regionale Toscana Sud Est.

Lo studio1 si è concentrato sui dati raccolti dalla rete italiana di farmacovigilanza da marzo a maggio 2020, e ha trovato 306 segnalazioni con almeno una reazione avversa al farmaco associata all'idrossiclorochina (comprese quelle di 11 pazienti non-COVID), rispetto alle 38 reazioni riportate in tutto il 2019. Le reazioni più comuni nel 2020 erano diarrea, un'anomalia del battito cardiaco chiamata sindrome del QT lungo, e aumento dei livelli di transaminasi nel sangue. Queste reazioni non erano menzionate nei rapporti dell'anno precedente.

Mentre la proporzione di casi che hanno richiesto l'ospedalizzazione non era significativamente diversa nei due periodi, solo nel 2020 sono stati riportati decessi tra i pazienti che hanno riportato effetti collaterali: due per causa sconosciuta, cinque non dovuti all'idrossiclorochina e 2 possibilmente legati ad essa. Gli autori, guidati da Simona Saponara dell'Università di Siena, aggiungono che gli eventi avversi gravi erano più probabili quando l'idrossiclorochina era usata ad una dose più alta, o in combinazione con altri farmaci (in particolare con AZT).

Questi dati sono probabilmente sottostimati in quanto basati su segnalazioni spontanee, secondo Luca Pasina, responsabile del Laboratorio di Farmacologia Clinica dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, che non è stato coinvolto nello studio. “E nonostante le principali reazioni avverse osservate siano note anche per le indicazioni d’uso approvate, la quota aggiuntiva di appare del tutto ingiustificata sulla base dei dati di efficacia che erano disponibili a quel momento"

L'idrossiclorochina è solitamente prescritta per la malaria e le malattie autoimmuni, e nel 2020 ha avuto improvvisa notorietà come potenziale terapia per forme gravi di COVID-19, quando l'OMS l'ha inclusa negli studi clinici Solidarity, finalizzati al repurposing di farmaci esistenti. Nella primavera del 2020, le agenzie farmaceutiche di tutto il mondo hanno autorizzato l'uso off-label di emergenza dell'idrossiclorochina, permettendo ai medici di prescriverla per COVID-19 anche in assenza di un'approvazione specifica per quella malattia. Ma questi farmaci avevano poco o nessun effetto sui pazienti ospedalizzati. A causa di problemi di sicurezza legati alle aritmie cardiache, l'OMS ha prima sospeso la sperimentazione dell'idrossiclorochina a maggio, poi l'ha ripristinata e infine l'ha interrotta nel giugno 2020.

La situazione in Italia ha seguito lo stesso percorso. L'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha autorizzato l'idrossiclorochina per uso off-label nell'aprile 2020 e ha invertito la rotta a maggio. Le cose si sono poi complicate, quando più di 40 medici hanno fatto causa all'agenzia e chiesto la cancellazione di questo divieto per i pazienti in fase iniziale. Nel dicembre 2020 questi medici hanno vinto un ricorso al Consiglio di Stato, e il divieto è stato revocato. Al momento, in Italia, questo farmaco può essere prescritto off-label solo per i pazienti trattati a domicilio e con sintomi lievi di COVID-19, anche se l'Aifa lo sconsiglia. " In questo setting e per questo tipo di pazienti esistono evidenze meno robuste a supporto della totale assenza di efficacia dell’idrossiclorochina", conferma Pasina.