Quest’anno l’Italia è stata colpita da numerosi eventi meteorologici estremi. Ad agosto, la temperatura più alta mai misurata in Europa è stata registrata in Sicilia. Durante l'ultima settimana di ottobre, la parte sud-orientale dell’isola è stata colpita da un uragano mediterraneo, noto come Medicane, con forti venti e intense precipitazioni che hanno provocato frane, alluvioni e ucciso almeno una persona. Il 24 ottobre, più di 300 mm di pioggia sono caduti vicino a Catania in poche ore - quasi la metà delle precipitazioni medie annuali sull’isola.
Secondo il European Severe Weather Database, l'Italia è stata colpita da 1499 eventi meteorologici estremi nel 2020 rispetto ai 380 eventi meteorologici estremi del 2010. Questi impatti climatici già in corso sono un campanello d'allarme tangibile e evidenziano in maniera significativa cosa c'è in gioco con i negoziati COP26 che iniziano questa settimana a Glasgow, organizzati da Italia e Regno Unito. Nature Italy ha parlato con Donatella Spano, docente presso il Dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari, e membro senior del Consiglio Strategico del Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC).
Cosa dicono i recenti eventi estremi sulla vulnerabilità dell'Italia in futuro?
Gli scenari futuri ci dicono che queste situazioni si intensificheranno se non interveniamo. Precipitazioni più intense, aumento delle temperature, più giorni consecutivi senza pioggia, ondate di calore, interesseranno il territorio italiano, con effetti negativi per l'agricoltura, le foreste e anche il sistema idrologico. E naturalmente, conseguenti rischi sociali, economici e sanitari. Tutto il territorio è esposto, ma con differenze a seconda dell'area geografica. Quello che sta succedendo in Sicilia è un esempio di questo.
In che modo un clima più caldo influenzerà l'agricoltura e le foreste in Italia?
L'aumento delle temperature e il cambiamento nella distribuzione delle precipitazioni influenzano il ciclo vitale delle piante, il benessere del bestiame e la disponibilità di acqua. Stiamo già assistendo a una riduzione delle rese, soprattutto per le colture a ciclo primaverile-estivo come il mais o il grano. Ma dobbiamo considerare che l'Italia è una penisola, che ha caratteristiche geografiche e climatiche diverse. Ci sono regioni del sud che sono più soggette alla siccità rispetto alle parti settentrionali, e questo aumenta anche le esigenze idriche delle colture. In generale, i modelli ci dicono che le colture potrebbero beneficiare dell'effetto fertilizzante di un aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Ma questo è vero solo se le risorse idriche sono disponibili e la fertilità del suolo è mantenuta alta. Laddove il cambiamento climatico provoca un aumento delle temperature e un cambiamento del regime delle precipitazioni, è difficile mantenere quelli che chiamiamo fattori di produzione, cioè la disponibilità di acqua, di nutrienti o il controllo della diffusione degli agenti patogeni. Per quanto riguarda le foreste, stiamo già sperimentando un aumento del rischio di incendi, fino al 20%, e un allungamento della stagione degli incendi. C'è anche un aumento dell'area coperta dal fuoco, specialmente nel sud dove la vegetazione è più secca e più infiammabile.
Lei è stata recentemente coautrice di uno studio sui rischi climatici in sei città italiane. La maggior parte degli studi di questo tipo sono fatti a livello regionale o globale. Come avete raggiunto questo livello di dettaglio?
I sistemi urbani sono molto complessi, e per capire quali sono i loro punti caldi è necessario avere un’analisi così dettagliata. Abbiamo combinato dati da diverse fonti e usato la modellazione climatica e fisica per raggiungere una risoluzione di due chilometri, mostrando per esempio quali aree di ogni città sono più esposte alle inondazioni, o dove si trovano le "isole di calore". Questo può fornire strumenti per la pianificazione urbana, per esempio mostrando quali aree hanno bisogno di una protezione speciale per la popolazione, oppure se è necessario fare degli investimenti o, ancora, creare delle infrastrutture con determinati criteri. Abbiamo iniziato questo studio con le città più popolate, e con Venezia per il suo valore culturale, ma abbiamo intenzione di continuare con altre città.
Il premio Nobel per la fisica di quest'anno è andato ai modelli climatici. Cosa ha significato per la climatologia, e quali sono i contributi italiani alla comunità climatologica?
Questo premio Nobel è molto importante perché danno un rilievo alla solidità delle scoperte nell'ambito della scienza del clima, che vedo come un pilastro del nostro futuro insieme alla salute. In Italia, siamo riusciti particolarmente bene a combinare la scienza del clima e lo studio fisico della temperatura, delle precipitazioni e di altri indicatori, con le scienze applicate, la biologia e l'ingegneria. Se vogliamo studiare l'agricoltura, le foreste, l'acqua o il dissesto idrogeologico, tutte queste scienze non possono più lavorare separatamente e a compartimenti stagni. La creazione del CMCC ha anche questo scopo, e anche la Società Italiana di Scienze Climatiche ha questo aspetto interdisciplinare.
C'è spesso una narrativa da “giorno del giudizio” sulle questioni climatiche, una narrazione disfattista che suggerisce che la situazione è così drammatica che potrebbe essere troppo tardi per agire. Pensa che sia efficace?
Non è efficace, e non è troppo tardi per agire. Dobbiamo però agire ora. Il G20 di Roma e COP26 sono due passaggi politici cruciali in questo senso, e come comunità scientifica abbiamo assunto la responsabilità di dare messaggi chiari e corretti ai politici. In vista del G20, per esempio, noi [al CMCC] abbiamo pubblicato un Atlante che evidenzia gli impatti e i rischi per i 20 paesi membri. Questo è senza dubbio la COP decisiva, e da un punto di vista scientifico è importante che i negoziati considerino gli scenari intermedi [piuttosto che solo il caso peggiore] per spingere l'azione climatica e la mitigazione.