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La centrale a idrogeno 'REFHYNE', a Wesseling, vicino a Colonia, in Germania. Inaugurata a luglio del 2021, è una delle prime centrali a idrogeno ‘verde’ al mondo. Credit: Thilo Schmuelgen/ REUTERS / Alamy Stock Photo.

Del ruolo dell'idrogeno molecolare (H2) come vettore energetico si parla da decenni, ma il suo effettivo utilizzo non si è mai concretizzato a causa di ostacoli tecnici ed economici1. Oggi, di fronte alla necessità di una profonda ristrutturazione del sistema energetico, assistiamo a una rinascita dell'idrogeno.

Con la pubblicazione della strategia sull'idrogeno da parte della Commissione Europea (CE) nel 2020, la produzione sostenibile di H2 è diventata una priorità di investimento all'interno del piano Next Generation Europe. Di conseguenza, l'Italia ha recentemente predisposto un Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), in cui vengono stanziati 3,2 miliardi di euro per la ricerca, la sperimentazione, la produzione e l'utilizzo di H2.

Il governo italiano assegna quindi all'idrogeno un ruolo importante nei piani di transizione ecologica, e ha fissato obiettivi ambiziosi per lo sviluppo e l'applicazione di questo vettore energetico entro il 2030. Temiamo però che questi obiettivi siano troppo ottimistici e finiscano per sottrarre risorse ad altre tecnologie che attualmente hanno un miglior potenziale di riduzione delle emissioni di CO2. Occorre guardare con realismo al possibile ruolo dell'idrogeno nell'economia italiana entro il 2030, e pensiamo che considerazioni simili possano essere applicate ad altri paesi industrializzati.

L'idrogeno molecolare è attualmente prodotto su larga scala, ma utilizzato principalmente per la sintesi dell'ammoniaca necessaria per i fertilizzanti, nei processi di raffinazione del petrolio e per la sintesi del metanolo. È derivato dal gas naturale, e l'energia necessaria per produrlo proviene dai combustibili fossili. Questo idrogeno è chiamato grigio o marrone. Ricercatori, aziende e governi si stanno ora concentrando su l'unica opzione che porta a zero emissioni di CO2, cioè l'idrogeno verde. In questo caso la materia prima è l'acqua dolce, che viene scissa in idrogeno e ossigeno per mezzo di elettrolizzatori alimentati da elettricità ottenuta da fonti rinnovabili. Attualmente, il prezzo dell'idrogeno verde è almeno tre volte più alto della sua controparte grigia, e la tecnologia degli elettrolizzatori non è sufficientemente sviluppata per produrre milioni di tonnellate di H2 l'anno.

Si prevede che l'idrogeno verde diventerà competitivo sul mercato in circa un decennio, ma anche in questo scenario è importante valutare quanta elettricità, superfici e acqua richiede. Qui ci concentriamo sull'Italia e, per semplicità, assumiamo che l'energia per produrre idrogeno verde provenga solo dal fotovoltaico (PV), la tecnologia rinnovabile predominante.

Il passo più razionale verso un'economia sostenibile dell'idrogeno sarebbe sostituire con idrogeno verde tutto l'idrogeno grigio attualmente prodotto negli impianti petrolchimici. In Italia questo ammonta a 480 kton l’anno.

Un altro obiettivo spesso citato sarebbe quello di convertire all’idrogeno verde l'industria siderurgica (tipico caso di settore cosiddetto hard-to-abate). In Italia, l'unica acciaieria ad altoforno, nella quale l'idrogeno potrebbe sostituire il carbone, si trova a Taranto e ha con una capacità di circa 6 Mton/a. Produrre 1 tonnellata di acciaio verde richiede 50 kg di H2, il che si tradurrebbe in una domanda di circa 300 kton l'anno di idrogeno verde.

Poi verrebbe l'idrogeno per il settore energetico (es. trasporti, riscaldamento). Il governo italiano ha come obiettivo una penetrazione dell’idrogeno negli usi finali dell'energia del 2% entro il 2030 (e fino al 20% entro il 2050). Sulla base dei dati statistici nazionali sull'energia, questo corrisponde ad ulteriori 850 kton l'anno di idrogeno verde.

Riassumiamo. Per consentire solo i tre usi sopra citati, che sono tra quelli previsti dalla strategia del governo sull'idrogeno, sono necessarie 1,6 Mton per anno di idrogeno verde. Questo (vedi la "nota metodologica") richiede 85 TWh/a di elettricità, corrispondenti a circa il 30% della produzione italiana nel 2019. Generarlo esclusivamente da FV significherebbe l'installazione di 75 GW (e oltre 10 GW di capacità di elettrolizzatori), insieme a un'adeguata capacità di stoccaggio che richiederebbe una specifica valutazione.

Il fabbisogno di superficie di 600-750 km2 (quasi il doppio della superficie del lago di Garda) non sarebbe di per sé un problema. Corrisponde a meno dell'1% dei terreni inutilizzati o abbandonati in Italia. Anche il consumo di acqua dolce non sarebbe un fattore limitante. I quasi 30 milioni di metri cubi necessari corrispondono allo 0,4% dell'uso totale di acqua industriale in Italia.

Il vero problema è il tasso di diffusione dell'elettricità rinnovabile. Nel decennio 2006-2016, sono stati installati in Italia quasi 20 GW di fotovoltaico, con un record di circa 7 GW nel 2011 (Figura 1). Quindi, l'aggiunta di ulteriori 75 GW in meno di 10 anni è un'impresa enorme che richiederebbe un forte impegno politico. Inoltre, i tre usi dell'idrogeno di cui sopra richiederebbero per l'Italia quasi 11 GW di capacità di elettrolizzatori entro il 2030. Considerando che 40 GW è l'obiettivo per l'intera UE entro il 2030, la prospettiva appare molto ottimistica.

Figura 1. Serie temporale della capacità di generazione elettrica installata da fonti rinnovabili selezionate (sinistra) e il loro tasso di installazione (destra) in Italia. Il picco di circa 1 e 7 GW/a, rispettivamente per l'eolico e il solare fotovoltaico, è stato toccato intorno al 2010-11.

Nel frattempo, a prescindere da qualsiasi piano per l'idrogeno verde, è necessario un aumento sostanziale della produzione di elettricità rinnovabile per decarbonizzare il sistema elettrico italiano, ora fortemente basato sul gas naturale. L'attuale quota di produzione elettrica rinnovabile in Italia (circa il 40%, 120 TWh/a) deve essere aumentata a circa il 70% (cioè oltre 200 TWh/a) entro il 2030 per raggiungere gli obiettivi dell'UE. È interessante notare che questo significa generare almeno 80 TWh/a di elettricità verde, cioè una quantità paragonabile a quella calcolata per i tre obiettivi dell'idrogeno verde discussi sopra. La somma complessiva, 165 TWh/a, è più del 50% dell'attuale consumo nazionale di elettricità e non è oggettivamente realistico generare ex-novo una produzione così grande in meno di un decennio.

L'idrogeno, in altre parole, pone un dilemma per il futuro del sistema energetico, in Italia e in altri paesi. Finché non avremo grandi surplus di elettricità rinnovabile, cosa che difficilmente avverrà prima del 2030, usare l'elettricità per produrre idrogeno e poi utilizzarlo per alimentare le auto o riscaldare gli edifici è in netto contrasto con l'obiettivo di aumentare l'efficienza energetica dell'UE del 32,5% entro il 2030. Sono già disponibili tecnologie elettriche dirette più mature ed efficienti, come i veicoli a batteria e le pompe di calore.

Se da un lato la ricerca sull'idrogeno e la diffusione delle rinnovabili debbono continuare, dall'altro è arrivato il momento - non solo per l'Italia ma per tutta l'Unione Europea - di prendere decisioni politiche sulle priorità per il prossimo decennio, e si deve fare una scelta chiara tra puntare principalmente sull'elettrificazione diretta o sulla produzione di idrogeno2.