Read in English

L’influenza “spagnola”: infermiere della Croce Rossa assistono i pazienti in un ospedale da campo allestito all’Oakland Municipal Auditorium, 1918. Credit: GL Archive/Alamy Stock Photo.

Molti di noi tendono a vedere la pandemia di COVID-19 come un evento estremamente improbabile che non poteva essere previsto. Ma secondo uno studio coordinato da Marco Marani, all’Università degli Studi di Padova, ognuno di noi aveva quasi il 40% di probabilità di assistere a una tale epidemia durante la propria vita1.

Lavorando con colleghi negli Stati Uniti Marani, un idrologo e ingegnere civile, ha raccolto informazioni storiche su centinaia di epidemie passate, e le ha analizzate con un metodo statistico recentemente ideato per gli eventi idrologici estremi. Il metodo serve a quantificare la probabilità di forti piogge, inondazioni o onde, un parametro fondamentale per la progettazione di dighe, ponti e difese costiere. Quando COVID-19 ha colpito il Nord Italia l'anno scorso, Marani e i suoi collaboratori si sono chiesti se potessero impiegare lo stesso approccio per studiare la probabilità di epidemie simili. Da decenni, gli epidemiologi avvertono che le grandi epidemie sarebbero diventate sempre più frequenti, a causa della crescita della popolazione umana, dell'urbanizzazione, della distruzione degli habitat e della maggiore mobilità globale.

Il primo passo è stato quello di costruire una base dati storica globale di quasi 500 malattie infettive dal 1600 in poi, consultando numerose fonti. Le epidemie sono state classificate secondo la loro intensità, cioè il numero di vittime diviso per la durata dell'epidemia e la dimensione della popolazione mondiale. L'intensità, spiegano gli autori, è un indicatore migliore dell'impatto di un'epidemia rispetto al numero assoluto di morti. Le intensità nel database coprono quattro ordini di grandezza, che vanno dall'epidemia di febbre gialla del 1804-1828 a Gibilterra, che uccise 2 persone per milione per anno, fino alla pandemia di influenza spagnola del 1918-1920, con 17 mila morti per milione di persone per anno. Gli autori volevano descrivere l'evoluzione delle malattie basandosi solo sulle proprietà dell'agente patogeno e sulle dinamiche di trasmissione, quindi hanno escluso dall'analisi tutte le epidemie successive al 1945, maggiormente influenzate da vaccini, farmaci e altri interventi di salute pubblica.

Gli scienziati hanno scoperto che il numero di epidemie per anno era estremamente variabile. Questo indica che non esiste un processo stazionario che governa l'emergere delle malattie infettive, spiega Marani. Al contrario, la probabilità che un'epidemia raggiunga una data intensità una volta iniziata è rimasta abbastanza costante nel tempo. E la cattiva notizia, dice Marani, è che "le epidemie estremamente intense non sono così improbabili come ci si sarebbe aspettato".

Combinando il tasso annuale delle epidemie con la distribuzione di probabilità delle intensità, gli autori hanno potuto stimare che la probabilità di avere un'epidemia di intensità pari o superiore a quella dell'influenza spagnola nell’arco di un anno era dell'1% nel 1918 (quando quel l'epidemia è effettivamente avvenuta) e ha raggiunto un picco di quasi il 2% nel 1959. Attualmente è quasi dello 0,25%, che corrisponde a un tempo di ritorno (il tempo medio tra due occorrenze consecutive di un evento estremo) di circa 400 anni.

Per quanto riguarda COVID-19, l'attuale tempo di ritorno di un'epidemia con un valore di intensità uguale o superiore è di 209 anni. Questo corrisponde a poco meno dello 0,5% di probabilità all'anno, o al 38% di probabilità di sperimentare un’epidemia simile durante la vita di una persona.

"Gli autori hanno fatto un lavoro straordinario nel raccogliere dati storici sulle epidemie, costruendo una serie temporale che non era disponibile prima", dice Marino Gatto, esperto di ecologia quantitativa al Politecnico di Milano. "La loro esperienza unica nell'analisi statistica degli eventi estremi ha permesso di estrarre informazioni rilevanti, con importanti implicazioni per l'epidemiologia".