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Quando lo scorso 29 aprile la Commissione europea ha pubblicato un attesissimo rapporto sulle nuove tecniche genomiche (NGT), le conclusioni hanno suscitato reazioni accese. Per la Commissione, le NGT (che permettono di modificare il patrimonio genetico degli organismi in modo più controllato e mirato rispetto alla modificazione genetica classica) potrebbero contribuire alla “resilienza e sostenibilità” dell'agricoltura di domani, rendendo le piante “più resistenti alle malattie e alle condizioni ambientali o ai cambiamenti del clima”, migliorando i loro tratti agronomici o nutrizionali, riducendo l'uso di pesticidi; e le attuali norme europee sugli OGM creano troppe barriere al loro impiego, e andrebbero quindi riviste.

Ma per chi si è preso la briga di leggere l'intera relazione, inclusi gli allegati, c’erano altre informazioni interessanti. Si prenda ad esempio il questionario sulle NGT, con i contributi di tutti gli Stati membri della UE. Il quesito 11 recita: “La ricerca legata alle NGT potrebbe creare nuove opportunità/benefici per la scienza, la società e i settori agroalimentare, farmaceutico o industriale?” Il quesito è così generico che un “sì” sembra quasi scontato. La Francia, un Paese che non si può considerare aperto agli OGM, ha sottolineato che l’innovazione è un motore decisivo della competitività, che le conoscenze genomiche sono utili anche per gli incroci tradizionali, e che le NGT si potrebbero impiegare per sviluppare prodotti di valore. Solo due dei 27 Paesi hanno barrato l'opzione “no”: Cipro – senza dare spiegazioni – e l’Italia. Il Ministero per l'ambiente, rispondendo ad aprile del 2020, sosteneva che “ad oggi non possiamo fornire esempi o dati concreti a sostegno di una risposta affermativa. Quello che nel frattempo è stato ribattezzato Ministero della Transizione ecologica, che dallo scorso febbraio ha un nuovo ministro, non ha risposto alle richieste di commenti di Nature Italy sul questionario.

L'Italia è uno dei Paesi europei dove negli ultimi vent'anni la ricerca ha più sofferto per l'opposizione agli OGM. Un’interpretazione zelante della direttiva UE che regola il rilascio degli OGM nell'ambiente, insieme con i ricorrenti ritardi nell'applicazione di queste norme, hanno di fatto bloccato le sperimentazioni in campo.

Ora gli scienziati si augurano che il sistema di editing genetico CRISPR/Cas e altri strumenti innovativi possano cambiare le cose, specialmente dopo la relazione della Commissione. “L’avvento di nuove tecnologie di editing sito-specifico è la migliore occasione per rimetterci in gioco in campo normativo e nel dibattito pubblico”, dice Chiara Tonelli, genetista delle piante e professoressa all'Università di Milano. “L’agricoltura italiana sta vivendo diverse emergenze fitosanitarie, come la Xylella negli ulivi e la Sharka nei peschi”, osserva Bruno Mezzetti, specialista della tecnologia basata sull’RNA-interferenza all’Università Politecnica delle Marche. “Le NGT sono necessarie per realizzare l'obiettivo di ridurre del 50% l'uso di pesticidi come raccomandato dal Green Deal europeo”, aggiunge Mezzetti, riferendosi al piano UE per un'economia sostenibile.

Ricominciare le sperimentazioni in campo aperto sarebbe decisivo, ma al momento l’Italia non ne ha nessuna in corso, e i segnali che arrivano dalle autorità non sono incoraggianti. L'attuale governo non ha ancora preso una posizione ufficiale.

Incertezza normativa

Le tecniche genomiche innovative includono una varietà di metodi differenti, sviluppati soprattutto negli ultimi vent’anni, i più rilevanti dei quali sono basati sulla tecnologia CRISPR-Cas. A differenza di alcune tecniche di modificazione genetica sviluppate nel secolo scorso, non prevedono necessariamente il trasferimento di materiale genetico da un organismo a un altro. Ma a causa del lungo periodo di incertezza sul loro status normativo, le sperimentazioni in campo su piante modificate con le NGT sono ancora scarse in tutta Europa. Un database del Joint Research Center (JRC) elenca sperimentazioni in campo approvate per il tabacco (Spagna), il mais (Belgio), la patata (Svezia), il pioppo (Svezia) modificati con la tecnologia CRISPR. In Olanda è previsto entro il 2021 l'avvio di una sperimentazione in campo con le patate, secondo l’allegato alla relazione della Commissione, e Parigi ha informato che una coltivazione sperimentale di semi oleosi, geneticamente modificati in Francia, era in corso nel Regno Unito.

Ostacoli burocratici e carenza di fondi disincentivano i ricercatori italiani a lavorare sulle NGT. Secondo il database del JRC, l'ultima sperimentazione in Italia è stata approvata nel 2004, quando la tecnologia CRISPR/Cas non era ancora stata inventata. Nessun gruppo italiano ha mai fatto richiesta per rilasciare nell’ambiente piante sottoposte a editing genomico a scopo di ricerca secondo la direttiva OGM 2001/18. “La cosa non è sorprendente, considerando che cosa è successo negli ultimi due decenni. La genetica agraria era decisamente vitale in Italia ma ha patito pesantemente l'aperta ostilità di vari ministri e l’influsso della politica sui comitati tecnici”, spiega Roberto Defez, microbiologo del suolo al Consiglio Nazionale delle Ricerche a Napoli.

Un campo di grano vicino ad Assisi, in Umbria. Credit: SunOfErat.

“Abbiamo applicato l’editing genomico con CRISPR/Cas9 al riso per modificare il tempo di fioritura ed eravamo interessati a test sul campo”, commenta Vittoria Brambilla, dell’Università di Milano. “Nel 2017 abbiamo chiesto informazioni al Ministero dell'ambiente sulle procedure da seguire, ma poi ci siamo arresi”. Brambilla, come molti altri, è stata particolarmente scoraggiata da un pronunciamento della Corte di Giustizia UE, che equiparava l’editing del genoma agli OGM, implicando le stesse procedure di autorizzazione valgono per le nuove tecnologie come per le vecchie.

Il risultato è che, pur avendo investito notevoli risorse nella ricerca genomica su specie coltivate, l'Italia non sta applicando sul campo le proprie scoperte. Secondo un altro database del JRC, che elenca i progetti in Ricerca e Sviluppo sulle NGT sia nell’agricoltura sia in medicina, l’Italia ha al momento 9 progetti sulle piante, di cui uno soltanto in stadio avanzato di sviluppo: una melanzana sottoposta a editing genomico per migliorarne la conservazione, il frutto di una collaborazione italo-spagnola. La Germania, a titolo di confronto, ha 37 progetti, 9 dei quali in uno stadio avanzato.

Il caposaldo della ricerca italiana sull’editing genomico delle piante è il progetto Biotech, finanziato dal Ministero dell’Agricoltura con 6 milioni di euro e coordinato dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA). Terminerà ad agosto 2022, e i suoi risultati sono ancora per lo più non pubblicati. Riguarda il frumento, pomodoro, pesco, agrumi e altre colture. “Il progetto sta finanziando circa quindici nuovi gruppi di ricerca”, spiega il coordinatore Luigi Cattivelli, del Centro di ricerca per la genomica e la bioinformatica del CREA. “Un terzo di essi ha eseguito l’editing di piante attualmente soggette a valutazione fenotipica, sia vegetali sia cereali. Ci aspettiamo che l’editing migliori la resistenza alle malattie e la produttività”.

Il gene editing potrebbe servire anche per la viticoltura, secondo Sara Zenoni, ricercatrice all'Università di Verona e co-fondatrice dello spin-off EdiVite. Il suo gruppo lavora su varietà di vino nazionali e internazionali, e prevede di arrivare alle prime sperimentazioni nel giro di tre anni.

Ci vuole del tempo, infatti, prima che i ricercatori possano anche solo provare a chiedere l’autorizzazione per le sperimentazioni in campo. Se e quando sarà aggiornato il quadro normativo dell'UE, come suggerito dalla relazione della Commissione, gli scienziati prevedono che soltanto le piante senza DNA estraneo godranno di un vantaggio normativo rispetto agli OGM. Pertanto, i ricercatori devono rimuovere i geni e gli elementi regolatori introdotti per far funzionare il sistema CRISPR, incrociando le piante editate con quelle wild type e selezionando i discendenti che contengono solo la mutazione desiderata. Questo processo richiede in genere una sola generazione, ma le tempistiche dipendono dalla specie.

Il bisogno di migliore comunicazione

Al di fuori del mondo della ricerca, gli atteggiamenti sono più variegati. L’opposizione ai metodi genetici è ancora animata nelle associazioni di agricoltura organica, ma gli agricoltori convenzionali sono più aperti che in passato alle tecnologie innovative. Quanto ai cittadini italiani, sono tra i meno informati in Europa, secondo il più recente sondaggio di Eurobarometro. Nel 2019 solamente l’8% aveva sentito parlare di editing del genoma (la media nell'UE è il 21%, con la Finlandia che raggiunge il 62%); soltanto il 13% degli italiani era preoccupato per le malattie delle piante (rispetto a una media UE del 45%), mentre il 38% era a conoscenza del problema dei residui di pesticidi nel cibo (65% nell'UE) – due delle questioni che intendono affrontare i ricercatori che lavorano con le NGT.

Il bisogno di una comunicazione migliore è confermato da uno studio presentato il 10 giugno alla Conferenza annuale dell'Associazione di Economia Agraria e Applicata. Ricercatori del CREA hanno svolto un sondaggio su oltre 500 studenti di 15 università nell'anno accademico 2019-2020, e riscontrato che il 32% di loro aveva sentito parlare di editing genomico. “La nostra analisi è concentrata sui millennial per indagare un possibile mutamento generazionale di atteggiamento verso le biotecnologie”, spiega Annalisa Zezza, economista agraria al CREA. Dopo avere valutato la conoscenza percepita e quella reale della modificazione genetica, i ricercatori hanno valutato come gli atteggiamenti negativi cambiavano dopo avere visto un video di 5 minuti sulle differenze tra le tecniche genomiche vecchie e quelle nuove. Come spiega Zezza, il risultato più interessante è la maggiore facilità nell’accrescere la fiducia verso gli aspetti delle NGT legati alla sicurezza del cibo che non a quella del loro impatto ambientale – una scoperta che, se confermata in altri gruppi di età, aiuterebbe a concepire campagne d'informazione da affiancare alle ricerche in campo agrario.

“La Commissione Europea ha aperto una porta”, conclude Mario Pezzotti, della Fondazione Edmund Macha San Michele all'Adige e dell'Università di Verona. “E’ un'opportunità data ai politici italiani per trovare una via di uscita dalla situazione di stallo”.