Read in English

Una ricercatrice al lavoro su tessuti umani in un isolatore da laboratorio. Credit: Westend61/ Getty Images.

Le terapie avanzate come terapia genica, cellule staminali e ingegneria dei tessuti sono un cambiamento di paradigma nel concetto di “cura”: trattamenti non più da ripetere per tutta la vita per tenere sotto controllo i sintomi, ma mirati a correggere la malattia alla sua origine grazie a un’unica somministrazione.

Nell’ultimo decennio il contributo dell'Italia a questo settore è stato significativo: delle 17 terapie avanzate autorizzate finora nell'Unione europea, ben 4 sono frutto della ricerca accademica italiana. Strimvelis, prima terapia genica ex-vivo approvata al mondo nel 2016 per la cura di una rara immunodeficienza di origine genetica, l'ADA-SCID1, e Libmeldy, prima terapia genica ex-vivo per una rara malattia neurodegenerativa2, approvata nel 2020 per la leucodistrofia metacromatica, sono state sviluppate a partire dagli studi dell'Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica di Milano. Analogamente Holoclar, terapia tissutale approvata nel 2015 per la riparazione della cornea nel caso di deficit di cellule limbari da ustioni chimiche o fisiche, è nata all'Università di Modena e Reggio Emilia3. A queste si aggiunge Zalmoxis, terapia cellulare ideata da uno spin-off dell’Istituto scientifico San Raffaele di Milano, che ha ricevuto un'approvazione condizionale da parte dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) nel 2016 come trattamento addizionale al trapianto di cellule staminali in pazienti con tumori del sangue, poi ritirata nel 2019 quando sul mercato esistevano ormai alternative più convenienti.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Alliance for Regenerative Medicine, alla fine del 2020 erano oltre 1200 gli studi clinici su terapie geniche cellulari o tissutali in corso nel mondo, di cui circa 150 già in fase 3. La ricerca accademica ha dimostrato – anche in Italia – di poter generare terapie avanzate innovative e in grado di migliorare la vita dei pazienti. Perché questo continui a succedere, tuttavia, sono necessari alcuni cambiamenti fondamentali.

Per prima cosa, gli studi clinici devono essere pensati fin dall'inizio in chiave traslazionale. Se l'obiettivo non è semplicemente pubblicare su riviste prestigiose, ma contribuire allo sviluppo di terapie che possano colmare bisogni di salute ad oggi non soddisfatti, anche gli studi nati in ambito accademico devono essere disegnati fin dall'inizio secondo i requisiti richiesti dalle autorità regolatorie, per evitare successivi sprechi di tempo e denaro. I dati raccolti e i protocolli di produzione non devono essere soltanto scientificamente validi, ma anche tracciabili a distanza di tempo e riproducibili. Il successo dello sviluppo di un farmaco passa anche attraverso un dialogo costruttivo e precoce con gli enti regolatori. In questo senso l’Ema ha fatto un grosso sforzo per offrire a imprese medio-piccole e accademia un canale dedicato per favorire lo sviluppo di terapie innovative laddove ci sia un bisogno medico non soddisfatto. Da parte sua, l’accademia dovrebbe rafforzare, grazie a personale specializzato, le proprie competenze in aree quali il trasferimento tecnologico, lo sviluppo farmaceutico e gli affari regolatori, così da aiutare i ricercatori a valorizzare le proprie ricerche e a impostarle da subito con la prospettiva di arrivare sul mercato.

Per l’Europa questa è un'occasione da non perdere. Altre aree del pianeta, Nord America in primis, stanno investendo in modo strutturato e lungimirante in questa nuova tipologia di farmaci, per esempio grazie allo snellimento dei percorsi regolatori, sgravi fiscali nella conduzione degli studi clinici, incentivi economici per la revisione accelerata di altri prodotti successivi.

Un altro fattore importante è la produzione, che attualmente rappresenta un collo di bottiglia in termini di costi e di disponibilità: perché l’accademia, italiana ed europea, possa continuare a contribuire al settore, deve dotarsi di strutture di grado GMP (Good Manifacturing Practice) oppure ottenere l’accesso alle strutture esistenti a condizioni sostenibili. La pandemia da COVID-19 ha rimarcato in modo impietoso l'impatto negativo della non-autosufficienza produttiva dell’Europa, che negli scorsi anni ha lasciato che la produzione di farmaci e dei loro principi attivi venisse delocalizzata in aree a minor costo.

Viceversa, la pandemia ha dimostrato anche quanto la semplificazione burocratica e amministrativa dei processi regolatori possa velocizzare la ricerca clinica, aspetto cruciale in un'emergenza globale come questa ma anche nel caso di patologie orfane, come quelle per cui le terapie avanzate sono mirate. In Italia, in particolare, sono stati istituiti una task force di esperti e un comitato etico dedicati che – analogamente a quanto fa già il Comitato per le terapie avanzate dell’Ema a livello centrale – hanno valutato tutti gli studi presentati in tema di COVID-19: questo ha permesso uniformità e competenza nella valutazione e un confronto costante anche con quanto avveniva negli altri paesi. Questi aspetti rimarranno cruciali in un ambito così specifico e complesso come quello delle terapie avanzate.