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Da sinistra: il coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico per l'emergenza coronavirus Agostino Miozzo, il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il direttore dell'ufficio emergenze della Protezione Civile Luigi d'Angelo partecipano a una conferenza stampa a Roma il 5 febbraio 2020, giorno della nomina del CTS. Credit: ALESSANDRO DI MEO/EPA-EFE/Shutterstock.

A marzo del 2020, un gruppo di 292 scienziati italiani scrisse una lettera aperta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tra i firmatari c’erano i responsabili di alcuni dei più importanti centri italiani di ricerca biotecnologica e clinica, oltre a esperti in test molecolari, in virologia e in microbiologia. Proponevano un piano per potenziare le capacità diagnostiche in fatto di Covid-19 nel Paese, sfruttando il potenziale di centri di ricerca universitari e offrendo i propri laboratori e il proprio personale senza costi aggiuntivi.

All’epoca, l’Italia era alle prese con tassi di mortalità in rapida crescita e ospedali sotto pressione, nonostante un severo lockdown su scala nazionale. I pazienti sintomatici, per non parlare dei loro contatti, dovevano attendere diversi giorni per un tampone. Ma la richiesta rimase inascoltata. “Abbiamo ricevuto soltanto notizie informali da rappresentanti del governo, che sostenevano che la proposta era irrealizzabile», ricorda Andrea Graziani, professore al Dipartimento di Biotecnologie Molecolari all’Università di Torino e tra i promotori della lettera.

La proposta venne in realtà discussa il 30 marzo dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS), un organo composto attualmente da 24 consulenti del Governo italiano sulla pandemia, formalmente istituito dal Dipartimento della Protezione Civile. Il verbale dell’incontro, reso pubblico diversi mesi dopo, rivela che il CTS declinò la proposta raccomandando invece che i test fossero eseguiti soltanto dai laboratori diagnostici certificati e gestiti da ciascuna Regione (in Italia l’assistenza sanitaria è amministrata a livello regionale). Secondo il comitato, i laboratori diagnostici erano più adatti di quelli degli istituti di ricerca, e avrebbero presto aumentato la loro capacità di risposta.

Ma quella rete era insufficiente, e ci sarebbero voluti mesi prima che i test riuscissero a stare al passo con l’epidemia. A marzo, in Italia si eseguivano circa 15.000 test del COVID-19 al giorno (attualmente se ne fanno circa 230.000). La scarsità di test ha finito per ostacolare gli sforzi volti a tracciare e contenere la diffusione del virus, specialmente in Lombardia e in Piemonte, due tra le regioni più colpite.

È stata la prima di una serie di decisioni prese dal CTS nel corso dell’ultimo anno che hanno lasciato perplessi quegli esperti italiani che considerano test e tracciamento decisivi per combattere la pandemia. Il CTS ha anche esitato a lungo prima di dare chiare indicazioni a favore dei test sulle persone asintomatiche. “Il CTS avrebbe dovuto dare un orientamento più deciso sulla strategia dei test. Il ruolo degli asintomatici nella diffusione della malattia era già chiaro quando scrivemmo la lettera”, sostiene Graziani. Ora che il Paese sta entrando nel secondo anno di pandemia, e con un nuovo governo appena insediato, diversi scienziati sperano che il Comitato rinforzi le proprie competenze in aree quali i test diagnostici, la biotecnologia e la biologia molecolare, che saranno decisive per affrontare la sfida più grande dei mesi a venire: aumentare i test e monitorare la diffusione di nuove varianti.

Una gamma ristretta di competenze

Pochi mesi dopo la lettera di Graziani e colleghi, una nuova proposta è arrivata sul tavolo del CTS. Il mittente era Andrea Crisanti, professore all’Università di Padova e autore di uno dei primi studi sul ruolo degli asintomatici nella diffusione del virus. Il suo laboratorio ha ispirato la strategia “trace-and-test” (traccia i contatti ed esegui i test), che ha contribuito a contenere la prima ondata pandemica in Veneto. A differenza del Piemonte e della Lombardia, il Veneto ha reclutato un centro universitario capace di eseguire test con grande efficienza.

Lo scorso agosto, Crisanti ha inviato al Ministro della Salute un abbozzo di piano per elaborare fino a 400.000 test molecolari al giorno, un aumento pari a sette volte la capacità nazionale. Il piano, sostenuto da 150 accademici, si basava su un massiccio uso di sistemi automatici e dispensatori di liquidi ad alta efficienza per ridurre costi e tempi di analisi.

Ma nemmeno Crisanti ha ricevuto alcuna risposta dal governo. I verbali degli incontri del CTS che abbiamo potuto visionare non menzionano alcuna discussione sulla sua proposta. “Quel piano meritava perlomeno di essere analizzato e discusso”, afferma Francesco Lescai, professore di bioinformatica all’Università di Pavia, con esperienze nello sviluppo di pipeline per l’analisi e il sequenziamento genetico.

Una gamma ristretta di competenze all’interno del CTS potrebbe essere tra le ragioni di queste decisioni. Il Comitato può contare su figure di livello mondiale in pneumologia, malattie infettive, gerontologia ed epidemiologia, ma è a corto di figure in aree critiche di competenza come diagnostica molecolare, virologia molecolare e high-throughput screening.

Meno della metà dei suoi membri attuali sono nominati sulla base del curriculum; gli altri sono direttori di istituzioni sanitarie, nominati nel CTS ex officio. Soltanto due membri hanno una comprovata esperienza in biotecnologia, ma in campi non legati alle malattie infettive.

Viceversa, in Gran Bretagna, il Scientific Advisory Group for Emergencies (SAGE) e le sue sottocommissioni hanno un ampio spettro di competenze e includono specialisti in diagnostica molecolare, high-throughput screening , sequenziamento, creazione di modelli, logistica, scienza del comportamento e istruzione. Il gruppo di consulenza del governo francese include uno specialista in tecnologie digitali e antropologi e sociologi, assieme alle competenze di base in virologia, epidemiologia e biologia molecolare. E l’Academia Leopoldina, uno dei consulenti principali del Governo tedesco, ha diversi gruppi di lavoro che possono attingere a una lista di 1600 membri internazionali di qualsiasi disciplina.

Inoltre, mentre in questi Paesi i comitati sono chiamati a indicare strategie di alto livello e linee guida, il CTS deve a volte occuparsi di dettagli che andrebbero di regola gestiti da sottocommissioni o da altri organismi. I verbali degli incontri del CTS (tutti secretati fino a settembre, e attualmente pubblicati 45 giorni dopo ciascuna riunione) riportano molte discussioni sulle procedure di sicurezza per gli eventi sportivi, o sulla scelta di specifici guanti e mascherine. In un incontro ad agosto, i membri hanno speso tempo a chiarire il concetto di “monodose” nelle mense scolastiche, per poi passare a discutere un protocollo dettagliato sulla sicurezza per i cori delle chiese.

Al tempo stesso, il CTS ha talvolta fornito indicazioni su tematiche su cui ha poca o nessuna competenza. A gennaio, ha affermato che proseguire con l’insegnamento a distanza avrebbe causato negli studenti “un grave impatto sul [loro] apprendimento, la loro psicologia e la loro personalità”. L’affermazione ha avuto conseguenze sulle politiche nazionali, ma nessun membro del CTS ha esperienza in campo pedagogico, in psicologia dell’infanzia o in neuropsichiatria.

Al Comitato manca anche diversità, con solamente 6 donne. Il coordinatore del CTS, Antonio Miozzo, non ha risposto alle richieste di commenti di Nature Italy.

Persino Pierpaolo Sileri, chirurgo e viceministro alla Salute nel governo precedente, ha criticato il CTS in diverse interviste, parlando di un “eccesso di burocrazia” e di una mancanza di diversità, e suggerendo che la sua composizione andrebbe riconsiderata , per includere uno spettro più ampio di competenze.

La sfida di monitorare le varianti

Dare linee guida chiare su biotecnologie, test e tracciamento sarebbe oggi più importante che mai, secondo Davide Ederle, presidente dell’Associazione Biotecnologi Italiani. Che cita in particolare i dati insufficienti che l’Italia sta raccogliendo sulle varianti in circolazione di SARS-CoV-2, dati che si ottengono sequenziando il genoma del virus e che sono essenziali per monitorare l’epidemia.

L’Italia sequenzia attualmente 1,3 campioni di virus ogni 1000, e impiega un tempo medio di circa due mesi per caricare i dati in archivi pubblici come Gisaid. È una delle prestazioni peggiori al mondo. Al confronto, il Regno Unito sequenzia quasi 40 volte più campioni, con un tempo medio di caricamento pari a 21 giorni. “Stiamo vedendo soltanto la punta dell’iceberg. Senza un’analisi più approfondita delle varianti in circolazione, brancoliamo nel buio”, commenta Lescai. E secondo Ederle, aggiungere al CTS figure con una competenza biotecnologica servirebbe a portare la questione in testa alla scala delle priorità.