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La "Marcia per la scienza" a Roma, il 22 Aprile 2017. Credit: Jacopo Landi/NurPhoto via Getty Images.

È stata una scelta azzeccata, da parte delle Nazioni Unite, scegliere come tema dell'ultima Giornata dei diritti umani nel dicembre 2020 "Recover Better - Stand Up for Human Rights", mettendo i diritti umani al centro degli sforzi per la ripresa dopo la pandemia.

La pandemia sta aggravando discriminazione, disuguaglianza, povertà in tutto il mondo. Lo stato d’emergenza ha avuto conseguenze sui diritti civili e politici dappertutto, sospendendo elezioni, cancellando assemblee, limitando la possibilità di manifestare, soffocando in parte la critica verso i governi. La solidarietà globale dovrà diventare una componente centrale della ripresa. Dopo il loro indebolimento causato dal virus, c'è un bisogno strutturale di riaffermare l'importanza dei diritti umani.

Ma la pandemia ha anche evidenziato la necessità di un'aggiunta cruciale all'elenco dei diritti umani universalmente riconosciuti. Dal momento della scoperta del nuovo coronavirus, scienza e scienziati sono stati al centro del discorso pubblico. Molto raramente però la scienza è stata riconosciuta come un diritto umano universale. Eppure lo è.

L'articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR) afferma che "ogni individuo ha il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici".

L'articolo 15 della “Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali” riconosce il diritto di tutti a "prendere parte alla vita culturale, godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni, beneficiare della protezione degli interessi morali e materiali derivanti da qualsiasi produzione scientifica, letteraria o artistica di cui è autore”.

Nell'aprile 2020, un comitato di esperti presso le Nazioni Unite ha adottato un "Commento generale sulla scienza" per chiarire ulteriormente gli elementi di questo diritto, l’obbligo degli Stati di garantirlo, e il ruolo che la società civile può svolgere nell'impresa scientifica. Tra le altre cose, tutti i paesi devono elaborare piani nazionali per la scienza, investire nella ricerca e promuovere l'istruzione scientifica sin dalla tenera età.

In molti paesi, durante l’ultimo anno, gli scienziati sono stati presentati come l’ennesima élite che vuole imporre decisioni prese da pochi evitando il controllo pubblico, la partecipazione democratica o la ricerca del consenso. Troppo spesso abbiamo visto appelli alla fiducia nell’“uomo solo al comando” piuttosto che rispetto del lavoro di migliaia di persone che hanno dedicato la loro vita professionale alla ricerca ed elaborazione di evidenze, condividendo le scoperte con i colleghi per perseguire obiettivi teorici e concreti. Queste manipolazioni governative o mistificazioni pubbliche raramente sono ritenute violazioni dei diritti umani.

Un diritto universale alla scienza significa prima di tutto che tutti hanno il diritto a partecipare alla scienza. Anche in questo caso, la pandemia ci sta insegnando alcune lezioni. La Global Alliance for Vaccines and Immunization (GAVI) guida COVAX, che coordina un meccanismo globale di condivisione del rischio per l'approvvigionamento comune e la distribuzione equa dei nuovi vaccini. COVAX è un esempio concreto di come il diritto a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni possa essere fatto valere in tutto il mondo, grazie a partnership innovative che coinvolgono donatori istituzionali e privati. Occorre che governi, organizzazioni regionali e internazionali, mondo accademico e aziende continuino in futuro questo tipo di collaborazione per il bene comune.

Riconoscere la scienza come un diritto umano fondamentale costringerebbe il potere legislativo e quello giudiziario a valutarlo diversamente nella sua relazione con gli altri diritti. Prendiamo ad esempio quel che accade in Italia.

La politica italiana ha raramente svolto un ruolo proattivo o di sostegno nella protezione o nella promozione della scienza. Nel recepire la direttiva UE 2010/63 sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, ha adottato misure molto proibitive che hanno inibito alcuni tipi di sperimentazioni. Donare il proprio corpo alla ricerca potrebbe, in parte, ridurre l'uso di animali nella fasi di formazione medica, ma fino allo scorso anno gli studenti di medicina che volevano specializzarsi in chirurgia non potevano esercitarsi su cadaveri italiani.

Dal 2004 la ricerca sulle cellule staminali embrionali da blastocisti in soprannumero è stata ostacolata: la legge 40 prevede che quegli embrioni allo stadio iniziale - creati durante la procreazione medica assistita, ma non impiantati - debbano essere conservati per anni, ma non possano essere utilizzati per fini di ricerca. Dall'adozione della Direttiva UE 2001 sugli Organismi Geneticamente Modificati, le piante OGM possono essere studiate nei laboratori italiani ma non possono essere coltivate a scopo sperimentale in campo aperto, e lo stesso vale per le nuove tecniche di coltivazione. Per questo la ricerca che utilizza CRISPR-Cas9 sulle piante è attualmente in un limbo.

In altri campi l'editing genomico incontra meno limitazioni - come dimostra una terapia sperimentale introdotta lo scorso dicembre presso l'ospedale Bambin Gesù di Roma - ma non è sufficientemente supportata. Si tratta di scelte che dimostrano che in Italia la scienza non è considerata un diritto umano al pari degli altri.

Proprio come la libertà di parola e di assemblea, il diritto a ricevere assistenza medica o al lavoro, il diritto a non essere discriminati per il colore della propria pelle, la scienza deve essere pienamente rispettata da tutti e per tutti. Affinché la scienza diventi parte integrante delle nostre società, deve essere riconosciuta per quello che è stata negli ultimi 60 anni: un diritto umano universale.