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Credit: Cavan Images / Alamy Stock Photo.

Mentre un numero crescente di Paesi legalizza la marijuana terapeutica, i ricercatori cercano di comprendere meglio i suoi effetti sulla salute. Miriam Melis, farmacologa all'Università di Cagliari, indaga gli effetti dell'uso di marijuana in gravidanza sullo sviluppo cerebrale dei nascituri. Per questo, studia topi nati da madri cui vengono somministrate basse dosi dell’ingrediente psicoattivo della sostanza. Ma, se entrerà in vigore un divieto di usare gli animali negli studi sulla dipendenza, Melis potrebbe dover porre fine alle proprie ricerche già all'inizio del prossimo anno.

Il provvedimento fa parte di un decreto legislativo approvato dal Governo italiano nel 2014, volto ad applicare una direttiva europea del 2010, mirata ad armonizzare, nell’Unione Europea, l’uso di animali ai fini della ricerca. La legge italiana impone restrizioni più rigide rispetto alla direttiva, in particolare negli studi sull’abuso di sostanze e sugli xenotrapianti – il trasferimento di organi dall'animale all'uomo, che gli scienziati si augurano possa risolvere la carenza di donatori d’organi. Da quando la legge è stata approvata, il Governo italiano ha posticipato il divieto, inizialmente fino al 2017 e poi fino al 2021. Lo scorso dicembre, il Governo ha ulteriormente rinviato il divieto al primo gennaio 2022, in un decreto che dovrà ora essere approvato dal Parlamento e convertito in legge entro l’inizio di marzo.

Questo limbo legislativo sta avendo conseguenze “devastanti” sulla capacità del nostro Paese di innovare e di attrarre fondi per la ricerca, lamenta Roberto Caminiti, fisiologo all’Università di Roma “La Sapienza”. E potrebbe costare caro. La direttiva europea non permette che i Paesi membri impongano norme più rigide di quelle della direttiva stessa, a meno che non fossero già in vigore prima. Nel 2016, la Commissione Europea ha avviato un'azione legale contro l’Italia, che potrebbe condurre a una sanzione di milioni di euro al mese. “La multa sarebbe un male”, commenta il biologo Giuliano Grignaschi, responsabile del benessere animale all'Università di Milano e direttore di un'associazione che difende la necessità della sperimentazione animale. “Ma la cosa ancora peggiore è che, in Italia, i ricercatori non potranno fare quello che potrebbero fare in qualsiasi altro paese”.

Posizioni radicate

Le ricerche sugli animali sono da tempo al centro di un aspro sconto politico in Italia. La normativa del 2014 aveva cercato un compromesso tra le preoccupazioni degli attivisti per i diritti degli animali e le esigenze dei ricercatori, spiega Beatrice Lorenzin, deputata del Partito Democratico e co-proponente del decreto legislativo nel 2014 quando era Ministro della Salute. All'epoca, spiega, gli attivisti e alcuni membri del Parlamento sostennero che la sperimentazione animale negli studi sull’abuso di sostanze e xenotrapianti poteva essere eliminata e sostituita con metodi alternativi. Alcuni ritenevano immorale l'uso degli animali per studiare “i vizi” umani (ma i riscontri scientifici rivelano che la dipendenza da droghe o da alcol è un disturbo cerebrale); altri mettevano in dubbio i benefici degli xenotrapianti per i pazienti.

Ma l’alternativa alla sperimentazione animale non era – e ancora non è – disponibile, aggiunge Lorenzin. Al punto che il Governo italiano ha dovuto ripetutamente rimandare l'entrata in vigore dei divieti. Intanto il Parlamento ha continuato a rinviare una soluzione definitiva. “Purtroppo in Senato ci sono posizioni molto radicate in tema di sperimentazione animale che non hanno ancora permesso di eliminare quei divieti”, commenta la Senatrice a vita Elena Cattaneo, ricercatrice sulle cellule staminali all'Università di Milano.

A marzo del 2020, il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) – un gruppo di consulenti del Governo, composto da esperti biomedici e giuristi – ha raccomandato di revocare i divieti. Ma anche qui sono emerse divisioni. Sei membri su 26 hanno votato contro la mozione, osservando che i modelli animali non contemplano la complessità della dipendenza negli esseri umani, e sollevando obiezioni etiche sugli xenotrapianti. Luisa Battaglia dell’Università di Genova, membro del CNB e bioeticista, considera gli xenotrapianti un caso “grave” di sfruttamento animale, e afferma che la carenza di donatori andrebbe risolta piuttosto incrementando le donazioni umane. Secondo Salvatore Amato, professore di filosofia del diritto all'Università di Catania, un altro membro del CNB che si è opposto alla mozione di marzo, mantenere i divieti serve a potenziare la ricerca di metodi alternativi ai test sugli animali. “Non si cercano vie nuove, se non si oppongono ostacoli alle vecchie”.

Mancanza di alternative

In questo clima di incertezza, gli scienziati incontrano difficoltà a ottenere finanziamenti, che vengono di solito assegnati per un arco di tempo dai tre ai cinque anni. Alcuni sono stati esclusi da collaborazioni internazionali. “Negli ultimi 7 anni, il nostro laboratorio ha partecipato a meno bandi perché la durata dei progetti andava oltre la presunta entrata in vigore del divieto”, spiega Nicola Simola, farmacologo all’Università di Cagliari.

Il danno potrebbe essere maggiore se i divieti diverranno effettivi l'anno prossimo, secondo Roberto Ciccocioppo, farmacologo dell’Università di Camerino. “O i ricercatori chiudono i propri laboratori o si trasferiscono in un altro paese”, spiega. Aggiunge che mettere fuori legge gli studi sulla dipendenza ostacolerebbe non solo gli sforzi per prevenire o per trattare l'abuso di sostanze, ma anche gli studi di sicurezza di nuovi farmaci che hanno come bersaglio il cervello, per alleviare dolore cronico, disturbi dell'umore, crisi epilettiche e malattie neurodegenerative. Tali studi valutano se un farmaco può causare dipendenza, e tipicamente confrontano come si comportano i roditori dopo avere ricevuto varie dosi del farmaco, o di una sostanza di abuso. Quanto ai metodi alternativi – afferma Simola – una manciata di cellule nervose in laboratorio non può riprodurre le interazioni tra il cervello e gli altri organi, e persino i modelli computazionali più avanzati sono incapaci di imitare un organismo vivente complesso. Una recente relazione del ministro della Salute Roberto Speranza conferma questa visione.

Altri ricercatori temono che il divieto all'uso di animali negli studi sugli xenotrapianti ponga fine allo sviluppo di procedure potenzialmente salvavita. Attualmente i pazienti che avrebbero bisogno di un trapianto di rene o di fegato sono più dei donatori. Gli organi di maiali sarebbero, in linea di massima, compatibili con l’uomo; vi sono però diversi ostacoli da superare, ad esempio il rischio di trasmettere infezioni o di scatenare una risposta immunitaria. Gli esperimenti attuali prevedono di trapiantare gli organi dai maiali ad animali più affini all'uomo, come alcune scimmie. Grignaschi sostiene che è “impossibile” sostituire tali studi sugli animali. “È come testare un pacemaker: prima o poi dovrà essere impiantato in un organismo vivente.”

Lorenzin e altri membri del Parlamento hanno presentato emendamenti al decreto governativo per posticipare l'entrata in vigore dei divieti almeno fino al 2024. Marco Bella, deputato del Movimento Cinque Stelle e chimico all'Università di Roma “La Sapienza”, spiega che la soluzione migliore sarebbe che il Parlamento modificasse la legge cancellando i divieti.

Il Ministero della Salute non ha risposto alle richieste di commenti di Nature Italy. Un portavoce del Ministro dell'Università e della Ricerca Gaetano Manfredi ha dichiarato in una email che “la posizione […] è quella di adottare la direttiva europea senza modifiche”.