Read in English

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Ministro per l'Università e Ricerca Gaetano Manfredi, durante una seduta del Senato a Ottobre 2020. Credit: Independent Photo Agency Srl/Alamy Stock Photo.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il ‘Piano nazionale di Ripresa e Resilienza Next Generation Italia' (PNRR). Il documento descrive come il Governo intende usare i finanziamenti ‘Next Generation EU’, il piano di ripresa messo in piedi dalla Commissione Europea in risposta alla pandemia del COVID-19.

Dei 209 miliardi di euro che l’Italia riceverà dall’Unione Europea, 11,7 sono stati stanziati per la ricerca, da spendere entro cinque anni. I piani d’investimento sono descritti nella sezione ‘Dalla ricerca all’impresa’ e comprendono due principali linee d’azione: la prima, finanziata con 7,29 miliardi di euro, è ‘ricerca e sviluppo’, e include sostegno a progetti di ricerca, borse di studio per giovani ricercatori, fondi per infrastrutture di ricerca; la seconda linea d’azione, che riceverà 4,48 miliardi di euro, è ‘trasferimento tecnologico e sostegno all’innovazione’, e vuole sostenere la creazione di nuovi centri per la ricerca applicata, programmi di dottorato ritagliati ad hoc per le esigenze industriali.

Il Ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi si dice “soddisfatto” del risultato, dopo che le bozze precedenti del documento destinavano meno di 9 miliardi di euro a ricerca e sviluppo. Manfredi aggiunge che ulteriori finanziamenti nazionali faranno salire l’investimento complessivo a oltre 14 miliardi di euro. Gli scienziati contattati da Nature Italy hanno accolto con favore l’aumento dei finanziamenti, ma sottolineano come il documento ponga l’accento sulla ricerca applicata e industriale, e temono che la ricerca di base sia sacrificata. Manfredi assicura, invece, che anche la ricerca di base sarà sostenuta, poiché è “uno strumento indispensabile per lo sviluppo e il trasferimento della tecnologia all’industria e alla società”.

In Italia, gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo ammontano allo 0,5 % del PIL (0,32 % per la ricerca di base e 0,18 % per la ricerca applicata), molto sotto altri Paesi europei. Gli scienziati italiani hanno visto da subito in ‘Next Generation EU’ l’opportunità per colmare il divario, e hanno esaminato con attenzione il documento mentre progrediva di bozza in bozza. Lo scorso ottobre, e nuovamente all’inizio di gennaio 2021, un gruppo di scienziati ha scritto al primo ministro Giuseppe Conte caldeggiando l’uso dei fondi europei per aumentare di 15 miliardi di euro, nei prossimi cinque anni, le risorse a favore della ricerca pubblica. Il loro appello si basava essenzialmente su un documento del fisico Ugo Amaldi, già fisico al CERN e professore all’Università di Milano-Bicocca, che suggeriva che l’Italia dovrebbe rispondere alla pandemia aumentando i fondi per la ricerca fino a raggiungere l’1,1 % del PIL nel 2026, dando la priorità alla ricerca di base.

“La bozza finale è migliore delle precedenti perché cita il Piano Amaldi,” commenta Federico Ronchetti, ricercatore all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e responsabile delle operazioni dell’esperimento ALICE al CERN, il quale ha promosso una petizione on line a sostegno del Piano. Ma per Ronchetti, “la struttura del documento è ancora macchinosa e mancano i dettagli”.

Il PNRR inietta 950 milioni di euro nei Progetti di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) già in essere, il principale meccanismo di finanziamento per progetti di ricerca della durata di tre anni, e aggiunge 600 milioni di euro in borse di studio per giovani ricercatori, simili a quelle dello European Resarch Council. “Queste borse di studio sono in linea con lo spirito di Next Generation EU”, commenta Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas, a Milano. Tuttavia, oltre a un aumento e una maggiore regolarità dei bandi– sostiene – la ricerca italiana ha bisogno di misure e di meccanismi competitivi per valutare le proposte, una questione che non viene mai citata nel Piano. “Alla base di ciascun punto del PNRR dovrebbe esserci un solido sistema di valutazione tra pari”, aggiunge Mantovani.

Quanto al trasferimento tecnologico, il Governo intende impiegare 1,3 miliardi di euro per creare 20 poli regionali d’innovazione per la ricerca e lo sviluppo, finanziati congiuntamente dai settori pubblico e privato e ispirati al modello della rete tedesca Fraunhofer per la ricerca applicata. “Abbiamo assolutamente bisogno di un modo per accelerare il trasferimento tecnologico; partiremo dai punti di forza e dalle realtà esistenti in ciascuna regione”, spiega Manfredi. Tuttavia, secondo Elisabetta Cerbai, farmacologa e professoressa all’Università di Firenze, non è abbastanza chiaro come questi centri saranno messi in piedi e gestiti.

Altri 1,6 miliardi di euro saranno impiegati per avviare sette nuovi centri in tecnologie di frontiera, quali l’intelligenza artificiale, la computazione quantistica, le tecnologie per l’agricoltura, l’energia, l’idrogeno, le tecnologie per la finanza e la ricerca farmaceutica. Si prevede che metà dei centri sarà nel Mezzogiorno. “Se vogliamo potenziare la competitività italiana, la vera scommessa è il Sud”, argomenta Luciano Pietronero, fisico statistico e presidente del Centro Fermi a Roma, il quale sviluppa modelli di crescita economica e vorrebbe vedere applicata la stessa logica all’intero Piano. L’Italia settentrionale – precisa – è già molto competitiva e la sua eccellenza va conservata; ma l’intero Paese potrà crescere solo se il Sud progredisce. Matteo Lorito, rettore dell’Università Federico II di Napoli, è coinvolto nel progetto del polo Agritech a Napoli – uno dei sette centri elencati nel documento – e vede di buon grado l’opportunità di lavorare con l’industria sui temi della sostenibilità e della biodiversità: “le innovazioni tecnologiche rimangono spesso chiuse nei laboratori; invece dovrebbero essere trasferite a industrie e a start-up locali”.

Il PNRR dovrà ora essere discusso e approvato dal Parlamento italiano, prima di essere inviato entro il 30 aprile alla Commissione Europea.