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Immagine al microscopio elettronico di SARS-CoV-2 (in giallo) che emerge dalla superficie di una coltura cellulare (in rosa). Credit: NIAID-Rocky Mountain Laboratories, NIH.

In Italia, i medici sono nuovamente autorizzati a prescrivere l’idrossiclorochina ai pazienti Covid-19. Lo scorso 11 dicembre il Consiglio di Stato – il più alto tribunale amministrativo– ha sospeso un divieto imposto precedentemente dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che consentiva tale uso del farmaco solamente nei trial clinici.

In Italia, come in buona parte degli altri paesi, l’idrossiclorochina è approvata esclusivamente per la malaria e per alcune malattie autoimmuni. Nelle prime fasi della pandemia, ha attirato interesse come possibile antivirale contro Sars-Cov2. Sono stati avviati diversi trial clinici, e in aprile l’AIFA, in linea con la statunitense Food and Drug Administration, ha concesso un’autorizzazione d’emergenza per l’utilizzo “off-label”, ossia per indicazioni diverse da quelle per le quali il medicinale è stato autorizzato. Ma a fine maggio, in assenza di conferme dai trial clinici sull’efficacia del farmaco, l’AIFA ha sospeso l’autorizzazione all’impiego per i medici, lasciando solo la possibilità di sperimentarlo nei trial clinici. La FDA negli USA e la MHRA nel Regno Unito hanno preso decisioni simili revocando le prime autorizzazioni di idrossiclorochina, e l’Agenzia europea del farmaco (EMA) ha raccomandato cautela nel suo impiego, che può avere gravi effetti collaterali.

Un gruppo di oltre 40 medici di varie regioni italiane, secondo i quali l’idrossiclorochina può fermare la progressione della malattia nei pazienti a uno stadio precoce, hanno presentato un esposto al TAR del Lazio chiedendo di sospendere il divieto e di rendere rimborsabile il farmaco dal Servizio sanitario nazionale per i pazienti Covid-19. Hanno perso, ma hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, che esamina gli appelli su decisioni amministrative. Il divieto è stato così revocato l’11 dicembre.

“In un certo senso, la decisione inverte l’onere della prova, asserendo che l’AIFA è stata incapace di dimostrare che il farmaco è privo di efficacia e di sicurezza”, commenta Amedeo Santosuosso, ex giudice e presidente dello European Centre for Law, Science and New Technologies (ECLT), all’Università di Pavia. “La Corte ha affermato che le prescrizioni off-label possono essere limitate solo quando sono esaudite due condizioni: quando, sulla base delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali, tale impiego non è né efficace né sicuro”.

Nella sentenza, i giudici amministrativi hanno stabilito che le evidenze fornite dall’AIFA su entrambi i punti erano insufficienti per limitare l’autonomia decisionale dei singoli medici, garantita dalla legge italiana. La sentenza fa riferimento soltanto all’impiego del farmaco nei primi giorni dalla comparsa dei sintomi e a basso dosaggio, affermando che “non svolga alcun effetto in una fase avanzata della malattia […] né svolga alcun ruolo in fase di profilassi”.

Secondo Antonio Addis, farmacologo presso il Dipartimento di epidemiologia della regione Lazio e membro del comitato tecnico-scientifico dell’AIFA, la decisione avrà un impatto modesto sulla pratica clinica. “I medici sono sempre stati liberi di prescrivere questi farmaci off-label, sotto la propria responsabilità e senza rimborso”, ha spiegato. Ma senza un’autorizzazione ufficiale, in caso di effetti avversi i medici che prescrivono farmaci off-label vanno incontro a un rischio maggiore di conseguenze legali.

La sentenza potrebbe complicare ulteriormente i trial clinici volti a determinare l’efficacia e la sicurezza dell’idrossiclorochina per i pazienti a uno stadio precoce. “La primavera scorsa abbiamo avuto una marea di richieste di nuovi trial, e diverse sono state approvate”, ricorda Cinzia Caporale, che presiede il Comitato Etico dell’Ospedale Spallanzani a Roma, e che a marzo ha ricevuto dal governo l’incarico di valutare tutti i protocolli di ricerca relativi al Covid. Nessuno degli studi approvati su infezioni asintomatiche trattate con idrossiclorochina, o con la clorochina che è un farmaco strettamente affine, è stato ancora completato. Uno di essi non è mai partito, e l’altro ha problemi di numeri. “Abbiamo iniziato il reclutamento alla fine della scorsa primavera, con l’obiettivo di coinvolgere 700 pazienti, ma finora siamo riusciti ad arruolarne meno di 250”, spiega Giovanni Martinelli, direttore scientifico dell’Istituto Tumori IRST di Meldola. “Circa il 90 per cento delle persone che abbiamo contattato rifiuta di assumere il basso dosaggio che proponiamo”. Parte del problema, spiega, è che molte persone ricevono già il farmaco off-label, e sono poco incentivate a entrare nei trial. Un altro studio all’Ospedale San Raffaele di Milano non è partito, per ragioni simili.

La battaglia legale non finisce qui. “Ci sono due procedimenti distinti, e questa decisione riguarda soltanto il primo, sulla sospensione urgente del divieto”, osserva Santosuosso. L’altro caso, sulla cancellazione definitiva del divieto inclusione della idrossiclorochinina nella lista delle terapie Covid-19 rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale, deve ancora essere deciso.