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Una massa di ghiaccio si stacca dalla calotta glaciale artica per cadere nel mare. Credit: Bernhard Staehli/ iStockphoto/ Getty Images.

Comprendere con quanta rapidità i ghiacci rispondano ai cambiamenti climatici è fondamentale per anticipare gli effetti dell'attuale riscaldamento globale. Uno studio1 guidato da ricercatori italiani ha ora ricostruito come si è evoluta da un decennio all'altro la copertura del ghiaccio marino nella regione sub-polare tra la Baia di Baffin e il Mare del Labrador da 36.000 a 44.000 anni fa, durante l'ultima era glaciale.

"L'ultima glaciazione è stata interrotta da momenti di riscaldamento climatico che si sono verificati nell'arco di periodi di 30-40 anni e che hanno portato ad aumenti di temperatura fino a 15°C", spiega Federico Scotto, ricercatore dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima (ISAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e primo autore del lavoro, "A questi sono poi seguite fasi di raffreddamento, che potevano durare da 1.000 a 2.000 anni".

Venticinque di questi cicli di riscaldamento e raffreddamento, chiamati eventi Dansgaard-Oeschger (D-O), si sono verificati durante l'ultima glaciazione. Il team di ricerca ne ha studiati quattro in dettaglio per valutare la risposta del ghiaccio marino, analizzando il campione di ghiaccio NEEM (North Greenland Eemian Ice Drilling) estratto nel 2012 nel nord-ovest della Groenlandia. I ricercatori hanno valutato la presenza di bromo e sodio nella carota di ghiaccio, confrontandola con i livelli riscontrati nell'acqua marina. Hanno poi utilizzato analisi ad alta risoluzione degli isotopi dell'ossigeno per determinare le variazioni di temperatura. I dati ottenuti dalla carota NEEM sono stati confermati con l’analisi di specifici biomarcatori presenti in un campione di sedimenti prelevati del Mare del Labrador. Questi biomarcatori sono sostanze chimiche prodotte da microrganismi che vivono sul ghiaccio marino e forniscono la prova degli scambi di acqua tra la copertura di ghiaccio e il mare.

"Con il nostro studio non siamo in grado di stabilire se lo scioglimento dei ghiacci marini sia la causa del riscaldamento atmosferico o viceversa", afferma Andrea Spolaor, ricercatore dell'Istituto di Scienze Polari (ISP) del CNR e co-autore. "Per la prima volta, tuttavia, forniamo una possibile spiegazione di ciò che accade tra le fasi fredde stadiali e le fasi calde interstadiali. A causa del riscaldamento, il ghiaccio marino si sarebbe ritirato verso nord prima di essere sostituito dal ghiaccio stagionale, che richiede condizioni di mare aperto per formarsi."

Lo studio ha raggiunto una risoluzione temporale di circa tre-cinque anni per campione, un grande miglioramento rispetto agli studi precedenti che raggiungevano solo risoluzioni temporali di circa 60-120 anni. "Le analisi precedenti avevano permesso di identificare improvvisi cambiamenti di temperatura, ma non con il nostro grado di dettaglio", afferma Spolaor. I ricercatori hanno concluso che il ghiaccio marino ha risposto molto rapidamente ai cambiamenti di temperatura, passando da uno spesso nucleo di ghiaccio persistente a una condizione di mare aperto e ghiaccio stagionale nel corso di un decennio, e viceversa. Nell'attuale clima globale, lo spessore del ghiaccio marino può raggiungere i cinque metri in pochi anni, quindi è probabile che la calotta glaciale fosse più spessa durante l'era glaciale rispetto a oggi.

Lo studio, che coinvolge anche ricercatori dell'Università Ca' Foscari di Venezia, dell'Università di Padova e di altri istituti internazionali, è stato pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.